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ANTONELLA ANEDDA : UN VIAGGIO POETICO ATTRAVERSO LE PAROLE

Antonella Anedda, acclamata poetessa italiana, ha intrapreso un affascinante viaggio attraverso le parole e i luoghi, lasciando un’impronta indelebile nella poesia contemporanea. La sua carriera letteraria è iniziata nel 1989 con la pubblicazione della plaquette “Residenze invernali,” un testo che già dal titolo evidenzia due temi ricorrenti nella sua poetica: lo spazio abitativo e l’inverno.

Nelle sue  opere, Anedda dimostra una profonda affinità con le letterature straniere, in particolare quelle scandinave, russe, ebraiche ed orientali. Questa ricca fusione di influenze internazionali si riflette nella sua scrittura, conferendole un tono unico e una notevole profondità culturale.

Uno dei punti salienti nella sua carriera è la raccolta “Notti di pace occidentale” del 1999, un titolo ironico e amaro che cattura la complessità e il turbamento dei tempi moderni. Qui, Anedda esplora la violenza storica nascosta dietro a una pace illusoria e apparentemente impercettibile. Nella sua opera successiva, “La luce delle cose” (2000), Anedda continua a esplorare il contrasto tra il privato e il collettivo, la luce e l’oscurità. Questo testo è composto da prose suddivise in trentadue capitoli che costruiscono una rete di rimandi e connessioni, dando vita a un’opera densa di significato.”Il catalogo della gioia” (2003) emerge come un momento di passaggio nella sua carriera. Questa raccolta si distingue per il suo carattere filosofico. Tuttavia, il vero punto di svolta arriva con “Dal balcone del corpo” (2007), una raccolta che pone l’accento sulla dimensione collettiva e corale in contrapposizione a quella individuale. Qui, Anedda mostra una maggiore connessione con il mondo tangibile.

“La vita dei dettagli” (2009) è una raccolta di testi in prosa che analizzano dettagli di quadri, fotografie e riflettono sulla nozione di perdita. Questo lavoro dimostra ancora una volta la versatilità di Anedda nel flettere la sua creatività tra diverse forme espressive.”Salva con nome” (2012) continua il dialogo tra testo e immagine, definendo l’opera come un “fototesto”, dove continua a sfidare i confini della poesia tradizionale, spingendo il lettore nell’esplorazione di nuove forme di espressione.

Negli anni successivi, Anedda ha proseguito  nel lavoro di rifinitura della sua scrittura, guadagnandosi un posto di rilievo nella scena poetica contemporanea. Il suo lavoro, inclusi i saggi, i diari di viaggio e le opere di prosa, continua a ispirare lettori e scrittori in tutto il mondo. Con la sua più recente raccolta, “Geografie” (2021), ci conduce in un affascinante viaggio tra luoghi complessi, sia geografici che interiori. Il suo sguardo dislocato e non antropocentrico, il dialogo con la scienza e la sua affinità con la botanica e la zoologia creano un’opera che traccia mappe sia fisiche che mentali dove, in un’epoca in cui l’attenzione sembra essere rivolta sempre più verso il clamore e la visibilità, le parole di un autrice riservata e modesta possono rappresentare una preziosa fonte di saggezza. In un’intervista, quando le è stato chiesto se riteneva che vivere in solitudine fosse un segno di modestia o grandezza, ha risposto con semplicità e onestà: “Non sono sicura che vivere appartati abbia a che fare con la modestia o con la grandezza. Nel mio caso credo sia dovuto alla mia sardità. Mi piace la compagnia ma ho bisogno di raccoglimento e solitudine.” Interrogata ancora sul rapporto con la morte ha citato Spinoza: “A tutto pensa l’uomo libero, tranne che alla morte”. Per l’autrice l’atto di scomporre e analizzare la realtà, la porta ad una percezione più profonda e a volte dolorosa della complessità del mondo. Scrivere, d’altra parte, diventa l’ atto creativo che le consente di dare un senso a questa complessità, di esprimerla in modo unico e assolutamente personale. (R.P)

 

a Sofia

Davvero come adesso, l’ulivo sul balcone
il vento che trasmuta le nubi. Oltre il secolo
nelle sere a venire quando né tu né io ci saremo
quando gli anni saranno rami
per spingere qualcosa senza meta
nelle sere in cui altri
si guarderanno come oggi
nel sonno – nel buio
come calchi di vulcano curvi nella cenere bianca.
Piego il lenzuolo, spengo l’ultima luce.
Lascio che le tue tempie battano piano le coperte
che si genufletta la notte
sul tuo veloce novembre.

 

a Flaminio

Cerca tra le cose che ami quale morirà per prima
quale ghiaia innalzare sul secolo che frana.
Non occorre affrettarsi
ma scuotere la testa davanti al due che affiora
fermarsi tra le cifre – un’acqua
che schiuma sulle scale prima di invadere la casa –
fare del mille un monte – modesto – come il Sinai
e dei tre nove: una stella – che arda – da sola
nel buio del mattino.
Non c’è salvezza nell’attardarsi di un millennio
semplicemente i suoni si alzano più fitti dentro il vento
uno stormire di uccelli e di foresta.
Cerca tra le cose che ami quale morirà per prima
combatti nonostante il tremore.
Ma noi parliamo a candele, ad auspici imperfetti
a ombre che abbracciamo con fervore
e la lingua è la stessa che si porta migrando dalle isole:
una nube
in gola
che oscura la dizione degli oggetti.

 

a Mauro Martini


Se ho scritto è per pensiero

perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell’ombra della sera
per la sera che di colpo crollava sulle nuche.
Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta a una ringhiera
per l’attesa marina – senza grido – infinita.
Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare più sola nell’enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta
– da brughiera –
sulla terra del viale.
Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco
trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato.

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