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I bendaggi funzionali nella prevenzione dei traumi alla caviglia nel giocatore di Basket ( PARTE QUARTA)

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I bendaggi funzionali nella prevenzione dei traumi alla caviglia nel giocatore di Basket  ( parte quarta)

di Giuseppe Mazzocco

 

   Il lavoro in esame, per completezza d’informazione e per rendere l’analisi ricca di riferimenti pratici, dedica una parte specifica ai materiali da usare per realizzare un qualsiasi intervento di bendaggio funzionale.

   Per la “contenzione soffice” vengono comunemente impiegati i seguenti materiali: bende sottili di schiuma di poliuretano, in funzione di “salvapelle”; bende adesive, anelastiche ed elastiche; maglia tubolare elastica di copertura.

   Il “salvapelle”, viene ricordato con pignoleria ed anche per precisarne il prezioso effetto, è un sottile nastro di bobina di schiuma poliuretanica, altamente porosa, di elasticità multidirezionale, estremamente conformabile e versatile. Favorisce una facile rimozione del bendaggio ed è indispensabile per proteggere pelli delicate. Viene “montato” con grossa aderenza alla superficie cutanea, senza formare grinze, e serve, come dice lo stesso nome, a salvare la pelle dalle “azioni di presa” dei nastri del bendaggio. L’uso del “salvapelle” diventa tassativo nei bendaggi di parti del corpo per atleti particolarmente “pelosi” o per quelli che presentano realtà cutanee delicatissime o già con alterazioni della normale situazione dermatologica.

   La scelta delle bende, che viene fatta dall’operatore, viene condizionata dalle garanzie tipiche della qualità (facile srotolamento e buona microporosità, per ridurre il ristagno del sudore), tollerabilità (funzione ipoallergenica per i due componenti: supporto di tessuto e sostanza adesiva), durata (qualità legata alla sostanza adesiva) ed economicità.

   La maglia elastica tubolare serve a rinforzare l’azione di contenzione del bendaggio ed a favorire lo “scarico venoso, per la pressione differenziale decrescente sull’arto, in senso disto-prossimale”.

   I tutori semirigidi di più recente applicazione, ricorda l’Autrice, sono considerati delle alternative al bendaggio funzionale. Introdotti da Mc Cormick nel 1974, limitano, nel caso specifico dell’articolazione tibio-tarsica, la prono-supinazione, ma ne permette una sufficiente flesso-estensione.

   Questi tutori vengono indossati sopra i calzini. Fra le positività dei tutori semirigidi si annoverano la protezione della gestualità articolare, la praticità d’applicazione ed il non deterioramento dei materiali. Fra le negatività si ricordano la rigidità della struttura di sostegno e la limitazione che le imbracature danno alle parti limitrofe. Limitando l’escursione del “collo del piede”, cioè, scaricano le forze distrattive sugli altri segmenti dell’arto inferiore (ginocchio ed anca).

   “Questo inconveniente”, continua testualmente l’Autrice, “non è per niente sottovalutabile e condiziona negativamente la validità di questi tutori, offuscandone anche tutti i requisiti positivi precedentemente citati, e permette di apprezzare ancora di più la validità del bendaggio funzionale che, costruito proprio sulla caviglia del paziente, si adatta molto di più ad ogni situazione”.

   Un richiamo particolare viene fatto al concetto di “taping” che, considerato il precursore del bendaggio funzionale, ha identiche funzioni di sostegno, di scarico funzionale e di stabilizzazione articolare, per realizzare azioni antalgiche, antiflogistiche, psicologiche e trofico-vasomotorie. La differenza fra taping e bendaggio funzionale si riscontra nella scelta dei materiali: bende anelastiche, per il primo, e bende elastiche, per il secondo.

   Fra le fasciature elastiche di base per la caviglia, il lavoro ricorda quella adesiva elastica a doppia cifra, ad “8” (per traumi distorsivi con fenomeni di gonfiore locale, senza lesioni anatomiche legamentose, o per lesioni croniche da sovraccarico), rammentandone la azioni antiflogistiche, antalgiche e trofico-vasomotoria.

   Per i sistemi stabilizzanti, con le bende anelastiche, l’Autrice rammenta quelli a “cesto” aperto ed a “cesto” chiuso, per le instabilità acute post-traumatiche con segni di flogosi in atto o potenziali.

   Si cita, ancora, la fasciatura di sostegno tipo Louisiana (intervento preventivo per fattori di rischio infortunistico, per piedi piatti-valghi, per lassità costituzionale e per scarsa vigilanza posturale e propriocettiva).

   Un’attenzione particolare viene data al bendaggio di prevenzione, ricordando come la caviglia “è sicuramente il distretto dove l’uso del bendaggio raggiunge la massima espressione, sia per i suoi requisiti funzionali che per l’alta incidenza dei traumi (il 55% delle patologie distorsive si verificano in questo settore)”. L’evento lesivo che, nella pallacanestro, si verifica più frequentemente è il movimento in eccessiva inversione, con probabile lesione del compartimento capsulo-legamentoso esterno. Per la prevenzione di questo trauma l’azione del bendaggio è di grossa utilità, per l’efficiente effetto stabilizzante. “Questo è possibile attraverso il sistema a staffa che, applicato in tensione sotto il calcagno, dall’interno all’esterno della gamba, porta un supporto stabilizzatore supplementare al compartimento esterno”.

   L’Autrice riporta, ancora, le particolari avvertenze da osservare prima di iniziare un bendaggio: la detersione della pelle, la possibile tricotomia (la rasatura dei peli limita al massimo il dolore da strappo, per la rimozione del nastro adesivo) o l’uso del “salvapelle” e la scelta dei punti per gli ancoraggi.

  Il lavoro, nell’ultima parte, riporta le condizioni e le modalità esecutive di due tipi di bendaggio: anelastico di prevenzione per la lesione capsulo-legamentosa dell’articolazione tibio-tarsica e anelastico di prevenzione per la lesione del tendine d’Achille.

   Un chiaro atlante iconografico ed una bibliografia specifica chiudono questo completo lavoro sul bendaggio funzionale.

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