Quanto vale la natura?

Il Limite / 120

Quanto vale la natura?

di Raniero Regni

 L’essere umano, come ogni altro essere vivente, è sempre vissuto a spese dell’ambiente. Con l’invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento, con la meccanizzazione della produzione agricola e con la meccanizzazione della pesca, la sua voracità si è fatta sempre più sentire. Molti  in questi mesi sono stati al mare e guardando questa immensa superficie acquatica che ricopre gran parte del pianeta si capisce perché l’essere umano l’abbia considerata infinita, così come illimitate abbia considerato le sue risorse biologiche. Ma non è così. Il mare non è inesauribile e l’azione umana su di esso è oggi diventata intollerabile. Le catastrofi si sono fatte sentire. I primi pescatori che approdarono a Terranova nel XVI secolo pensavano che gli immensi banchi di merluzzi fossero infiniti. Alla fine del secolo scorso la riserva di merluzzi al largo di Terranova è crollata all’uno per cento della popolazione originaria.

Come osserva il filosofo delle scienze cognitive R. Casati, “laddove le catastrofi ecologiche hanno portato con sé distruzioni sociali ed economiche, hanno inevitabilmente spostato il riflettore sul tema del valore monetario della posta in gioco”. Quanto vale una medusa? Quanto vale una balena? Quanto vale il plancton? E la barriera corallina che prezzo ha?

Barriera corallina australiana

Il prezzo per gli umani è dato dal fatto che se non serve a nulla non vale nulla. Eppure non è affatto così. Al di là del valore materiale esiste anche un valore per l’immaginazione e Casati porta l’esempio dell’inventore del velcro, la geniale forma di allacciare due superfici, che ha creato questo fondamentale strumento che tutti usiamo in molte applicazioni, invenzione che è stata fatta osservando una pianta infestante, la bardana (arctium), che si attacca ai pantaloni quando si va in campagna. Ci troviamo sempre di fronte ad un insormontabile “muro di ignoranza” nel valutare la natura. Non posiamo mai sapere quanto vale. Non possiamo calcolare il valore di tutto. Anzi, non possiamo calcolare il valore di niente.

L’economia, la scienza che calcola il prezzo di tutto e il valore di niente, stabilisce che tutto abbia appunto un prezzo. In un mondo in cui tutto è oggetto di scambio l’unico modo per vedere un oggetto è quello di dargli un prezzo. È questa l’idea che sta dietro anche alle quote  da pagare per l’emissione di Co2. Se non venisse valutato monetariamente l’inquinamento, si dice, sarebbe invisibile per il mercato. Ed infatti, fino ad ora, si parlava in maniera irresponsabilmente neutra dei danni ambientali come di “esternalità”. Così si parla delle vittime civili di una guerra  come di danni collaterali.

Ma dietro questa impostazione c’è l’idea di natura come giacimento, come ammasso di materie prime utili all’essere umano. Una concezione estrattiva che fa di una montagna un giacimento di marna per fare il cemento e dell’aria pulita una componente di un combustibile. L’uso di occhiali monetari riduce tutto ad una funzione di utilità.

Come abbiamo più volte accennato, alla nozione di giacimento oggi si cerca di contrappore quella di bene comune. Il mare, ad esempio, sarebbe un bene comune, non un bene depredabile o una risorsa fungibile. Il mare non è solo una riserva di proteine animali o vegetali di cui gli umani possono disporre. È anche bellezza e paesaggio. Il plancton, che è alla base dell’ecosistema, svolge una funzione preziosa rispetto alla biosfera. Ma anche la stessa nozione di bene comune è antropocentrica. Anche i beni comuni sono risorse di cui però non ci si può appropriare individualmente. Anche questa nozione fondamentale va  corretta. I beni comuni non sono solo comuni agli umani ma anche a tutti gli esseri viventi.

L’oceano capta un quarto dell’anidride carbonica antropica. È anche una discarica di calore e di gas serra. L’oceano ha assorbito il 94 % del surplus di calore generato dall’emissione energetica antropica. Il plancton, una cosa che si muove in maniera erratica, è così vivo che in ogni litro di acqua di mare ci sono tra i dieci e i cento miliardi di microorganismi. Chi può calcolare il loro valore? E, ancora: chi può calcolare quanto inquinamento possono sopportare? Il mare può funzionare soltanto se lo lasciamo stare, se lo rispettiamo e ne abbiamo cura. Non solo perché serve a noi ma perché è utile anche nella sua inutilità. Forse dovremmo adottare uno sguardo nuovo nei confronti del mondo, una nuova fratellanza con tutto ciò che vive. Dovremmo diventare un po’ tutti francescani?

 

 

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