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FRANCOIS VILLON: UN’ANIMA RIBELLE E UN POETA MALEDETTO

La storia spesso ci regala figure avvolte da un alone di mistero, capaci di esercitare un oscuro fascino grazie alle loro vite travagliate. Uno di questi personaggi è senza dubbio il poeta francese François Villon, vissuto nel XV secolo, un’epoca descritta da Huizinga come “l’autunno del medioevo”.

La vita di François Villon è avvolta in un velo di leggenda e, paradossalmente, esistono così tanti documenti su di lui che è difficile districare il personaggio dalla sua fama, l’uomo dal poeta, la realtà dalla finzione.

Nato a Parigi nel 1431 e, orfano di padre, prese il nome del Cappellano suo protettore. La condizione agiata gli permise di frequentare i regolari studi della medio-borghesia dell’epoca, soprattutto gli studi letterali, che però non porterà mai a termine. Villon infatti era contraddistinto da un’anima inquieta, da uno  spirito zingaro, sempre in cerca di nuove esperienze:  si trovava a suo agio più nei bassifondi della città piuttosto che nelle stanze di studio. La sua vita fu scandita da episodi turbolenti: omicidi, furti, periodi in prigione e, alla fine, l’esilio da Parigi.

Nonostante la sua vita criminale, Villon possedeva una sensibilità straordinaria. Questo mix di tratti criminali e sensibilità lo rese il primo “poeta maledetto” della storia, e ispirò molti poeti maledetti francesi dei secoli successivi. La sua produzione letteraria è composta principalmente da tre opere: il “Lascito”, il “Testamento” e una raccolta di ballate intitolata “Poesie diverse”.

Leggendo i testi di Villon, ciò che colpisce è la sua umanità. Le sue poesie riflettono l’animo umano con tutti i suoi dubbi, tormenti e passioni, anche le più oscure. Villon mette in luce, senza filtri, il lato oscuro dell’esistenza che la letteratura spesso cerca di nascondere, la religione di lavare e la filosofia di correggere. Le sue poesie sono un sorriso amaro verso la vita, che si compiace delle sfaccettature più torbide dell’umanità. In esse emerge l’idea che ciò che ci accomuna non sono solo le virtù, ma anche i vizi.

“Nel Lascito”, Villon satirizza il tono giuridico dei documenti testamentari e ritrae una umanità dai desideri più disparati attraverso nomi e cognomi di personaggi dell’epoca. “Il Testamento” riprende gli stessi temi, ma questa volta Villon lascia in eredità le sue ballate che toccano temi universali, tra cui spicca il tema della morte.

La morte è un tema dominante nelle opere di Villon. La sua poesia affronta la triste realtà che la morte è l’unico elemento che porta uguaglianza a tutti, cancellando le differenze di classe e condizione.

 François Villon anima inquieta,  ribelle, poeta maledetto  ha saputo catturare, nelle sue opere,  la complessità dell’umanità . La sua sensibilità verso la vita e la morte, l’amore e la sofferenza, il bene e il male, lo rende un protagonista indimenticabile nella storia della letteratura mondiale. (R.P)

 

la Ballata delle dame del tempo che fu.

Ditemi dove, in che contrada
è Flora, la bella romana,
Alcibiade o Taide,
che fu sua cugina germana,
Eco che parla se la voce si rincorre
al di sopra di un fiume o su uno stagno,
la cui bellezza fu troppo più che umana.
Ma dove sono le nevi dell’altr’anno?

Dov’è la dottissima Eloisa,
per cui fu castrato e entrò in convento
Piero Abelardo a Saint Denis?
Per amor suo subì questo destino.
E dimmi ancora dov’è la regina,
quella che comandò che Buridano
fosse gettato nella Senna dentro un sacco?
Ma dove sono le nevi dell’altr’anno?

La regina Bianca come giglio
che cantava con voce di sirena,
Berta dal piede d’oca, Alice, Beatrice,
Erembourg che dominava tutto il Maine,
e la valorosa Giovanna di Lorena
che gli Inglesi bruciarono a Rouen,
dove sono, dove, Vergine sovrana?
Ma dove sono le nevi dell’altr’anno?

Principe, non chiedete oggi né domani
dove sono, né nel corso di quest’anno,
perché non vi rimandi al ritornello:
ma dove sono le nevi dell’altr’anno?

L-LI-LII-LIII

Calpestata m’avesse sotto i piedi
e pure presa a botte, l’avrei amato; 

se fiaccata m’avesse nelle reni
e, poi, chiesto l’amore più sfrontato,
di tutti i mali mi sarei scordata. 

Quell’impestato, d’ogni cosa ingordo,
pur s’avvinghiava a me… Che bel profitto! 

Che mi rimane mai? Peccato ed onta! 

Trent’anni son passati: adesso è morto

ed ora sono vecchia e ho bianco il capo. 

A quel bel tempo, ahimè, quando io penso …

Quando penso a qual ero e a come sono … 

Se tutta nuda adesso mi riguardo,

allora mi ritrovo ben mutata:
povera, secca, magra, rattrappita
e con dentro una rabbia ch’è infinita. 

 

Che n’è della mia fronte, ch’era liscia 

e dei capelli biondi e delle arcuate 

sopracciglia e degli occhi distanziati 

in bella proporzione e degli sguardi 

graziosi, che impaniavano i più desti, 

del nasino diritto e delle orecchie 

aderenti, del mento con fossetta, 

del chiaro viso, del labbro vermiglio? 

Che fine han fatto mai spalle minute, 

mani graziose e ben slanciate braccia 

e le piccole tette e le anche opime,

 alte, proporzionate, apposta fatte 

a sostenere le amorose strette? 

Le reni larghe e la fìchina assisa 

sovra robuste e ben solide cosce, 

nell’orticello suo tutta conclusa? 

 

BALLATA DEGLI IMPICCATI

Fratelli umani, che vivete ancora,
Non siate contro noi duri di cuore,
Ché, se pietà di nostra sorte avrete,
Più largo sarà Dio del suo perdono.
Qui appesi ci vedete, cinque, sei.
La carne, che troppo abbiam nutrita,
Da tempo è divorata e imputridita.
Le nostra ossa saran presto cenere.
Della sventura nostra non ridete,
Ma Dio pregate che assolva tutti noi!

Se vi chiamiam fratelli, disdegno
Non ne abbiate, se pure per giustizia
Fummo uccisi. Voi sapete però
Che di sagacia non tutti son forniti.
Per noi , che trapassammo ormai
Pregate il figlio della Vergine Maria
Che non s’inaridisca la sua grazia,
Ma dalla furia infernale ci preservi.
Morti noi siamo, ingiuria non ci fate,
Ma Dio pregate che assolva tutti noi!

La pioggia ci ha lavato e dilavato
E il sole resi bruni e rinsecchiti.
Le gazze e i corvi gli occhi ci han cavato
E strappato la barba e fin le ciglia.   
Non un solo momento abbiamo pace.              
Di qua, di là, come si muta , il vento
A suo piacer ci mena senza posa.
Beccati degli uccelli più che anelli.
Di nostra compagnia non fate parte!
Ma Dio pregate che assolva tutti noi!

Gesù Signore, che su tutti hai potere,
Fa’  che l’Inferno non ci abbia in suo volere:
Non vogliamo con lui nulla a che fare.
Uomini, non c’è qui scherzo né celia.
Ma Dio pregate che assolva tutti noi!

 

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