HomeLa RivistaEducazione e AmbienteDall’egologia all’ecologia

Dall’egologia all’ecologia

Il Limite / 119

Dall’egologia all’ecologia

di Raniero Regni 

Un mito potente è oramai dominante nel mondo. È il mito dello sviluppo o della crescita illimitata dell’economia. E, si sa, un mito è una credenza totalizzante, non lo si può discutere: o ci si crede o non ci si crede. E quando un mito domina la mente della maggior parte degli esseri umani, chi vi si oppone o prova a metterlo in dubbio viene aspramente rimproverato, trattato come un paria, un miscredente. Più che ideologico, l’ostracismo ha qualcosa che appartiene alla dimensione religiosa, appare quasi come una condanna morale, una forma di blasfemia. Allora gli ecologisti, gli ambientalisti o, più semplicemente, tutti coloro che hanno preso sul serio quello che sostiene la comunità scientifica sul riscaldamento globale e quello che prevedono gli accordi di Parigi per la tutela dell’ambiente, si sentino dire: volete mettere in discussione il progresso? Volete farci tornare all’età della pietra?

Dietro questo mito c’è una storia lunga e complessa. C’è il razionalismo e l’individualismo occidentale, c’è il produttivismo e il consumismo che poi l’Occidente ha contribuito a diffondere a livello planetario. C’è il capitalismo estrattivo che per evitare di far andare in bancarotta le aziende e le imprese ad alto impatto ambientale preferisce fare andare in bancarotta il pianeta. Il mito di fondazione e suoi sacerdoti, gli economisti, dicono: faccio crescere l’economia sempre più, faccio crescere l’uso delle risorse, inquino sempre più, oltre le capacità di rigenerarsi che la natura possiede, perché altrimenti il sistema crolla. Ma la crescita illimitata si scontra con i limiti di un sistema grande ma comunque finito come quello della biosfera.

Al di sotto o al centro di questo mito c’è però una forma di culto dell’Io umano, una forma di “egologia”. L’Io umano domina la natura, soggioga e sfrutta tutto il vivente per poter crescere. I limiti di questa visione è che non si scoprono i diritti degli altri, degli altri esseri viventi. E la soggettività umana può e deve essere messa in discussione anche a livello educativo. È quello che prova a fare un pedagogista olandese contemporaneo, G. Biesta, utilizzando la raffinata e geniale filosofia di un pensatore ebreo lituano di lingua francese, E. Levinas.

La responsabilità è la struttura primaria della soggettività. Prima di dire Io, io sono responsabile verso un Tu. Dire Io, vuol dire “eccomi” a qualcun altro. In realtà oggi il modello dominate dell’educazione, anche nella versione progressista, è che io mi devo autoeducare adattandomi al mondo. Parto da me e a me ritorno dopo l’esperienza. Il mondo appare come un oggetto della nostra costruzione di senso. Io non vengo affatto interpellato dall’”altro da me”, dal mondo, o, in altri termini, dalla natura. Il mondo è sempre soltanto un oggetto, mai un soggetto. L’educazione è complice di una visione di tipo “egologico”. Incapace di portare nel recinto della mia comprensione ciò che è altro da me, le altre culture, le altre nature, le altre creature. Per arrivare ad una relazione ecologica con il mondo anche l’educazione dovrebbe svincolarsi da questo egocentrismo.

La parola di Dio (per i credenti) e la parola della Natura (per tutti), sono messaggi che arrivano davvero dall’esterno. Entrambe ci interpellano e ci sfidano. Questo è anche il fondamento della vera libertà: non la libertà liberale di fare quello che si vuole, ma fare quello che solo io e nessun altro può fare al posto mio. Biesta vede in questa prospettiva una possibile riscoperta del ruolo dell’insegnamento. La pedagogia tradizionale era tutta incentrata sull’insegnamento-come-controllo, ovvero quello che l’insegnante sapeva e che l’allievo doveva imparare. La pedagogia contemporanea più aggiornata sembra aver semplicemente capovolto il presupposto approdando all’apprendimento-come-liberta. L’accento è su quello che l’allievo può apprendere imparando anche dalle conseguenze delle sue azioni sull’ambiente, a cui però deve pur adattarsi. “La domanda che non viene mai posta, per dirla diversamente, è se l’ambiente a cui il sé sta cercando di adattarsi sia un ambiente a cui ci si dovrebbe adattare, una ambiente a cui valga la pena adattarsi”. Ecco un approccio non “egologico” all’insegnamento. Un approccio che non aumenta il dominio dell’Io su di sé e sul mondo. Che non condivide il mito dello sviluppo illimitato, che oggi mostra evidenti segni di crisi. Un’educazione che faccia sorgere la domanda se ciò che desideriamo è ciò che dovremmo desiderare. Che aiuti a vivere nel mondo, anche naturale, senza occuparne il centro.

Articolo precedente
Articolo successivo
Nessun Commento

Inserisci un commento