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Prima e dopo le parole. I limiti del linguaggio

Il Limite / 115

Prima e dopo le parole. I limiti del linguaggio

di Raniero Regni

“non mi importa che tu sia ricco o povero, basta che parli. Perché è la lingua che ci fa eguali”

Don Lorenzo Milani

 

 

 Per chi, come il sottoscritto, che si è guadagnato da vivere insegnando e scrivendo, ovvero usando le parole, una riflessione sui poteri e i limiti del linguaggio è sempre stata importante. “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”, ha osservato L. Wittgenstein, uno dei più grandi e affascinanti filosofi del XX secolo. È difficile sopravvalutare l’importanza del linguaggio in rapporto al pensiero e alle culture umane. Ne va della stessa libertà politica perché, come scriveva Don Milani, “non mi importa che tu sia ricco o povero, basta che parli. Perché è la lingua che ci fa eguali”. Senza il possesso delle parole non c’è neanche la libertà.

Eppure, sempre seguendo Wittgenstein, forse la cosa più importante non è l’”isola del dicibile” ma l’”oceano dell’indicibile”. Mi spiego. C’è qualcosa che precede e che segue il linguaggio verbale. Prima delle parole, anche dal punto di vista dell’evoluzione della lingua umana come anche dal punto di vista dell’apprendimento del linguaggio da parte del bambino, ci sono i gesti. I gesti precedono le parole, per cui spesso i bambini comunicano senza parlare e gli adulti parlano senza comunicare.

E’ osservando il mio ultimo nipote, dopo aver visto crescere tre figlie e un altro nipote più grande, che sono stato particolarmente attratto dalla sua lenta, faticosa, irreversibile, conquista del linguaggio. Ci sono infatti due cose che generano ansia nei genitori. L’imparare a camminare e l’imparare a parlare da parte dei loro figli. Entrambe sono capacità che precedono tutte le altre e che inaugurano il lungo cammino dell’autonomia. I genitori non vedono l’ora che queste due cose accadano. A me è capitato invece, ma solo di recente, di essere affascinato dalla comunicazione non verbale, prelinguistica di un bambino che ha meno di due anni.

È vero, come scrive Aristotele, che l’essere umano è una creatura della parola. Ma il linguaggio umano è molto più che parole. Apprendere una lingua non è ingoiare un vocabolario. Ciò che precede le parole è la potenza comunicativa tutta iscritta nel corpo. Ma torniamo al mio nipotino e alla sua conquista del linguaggio. In questo momento la sua espressività è massima, Capisce tutto quello che gli viene detto ma, non possedendo ancora il controllo completo del linguaggio, si esprime con tutto se stesso. E poi, ed è questo il fascino di questo momento del suo sviluppo, la cosa più interessante è che non può dire le bugie, non può mentire. Infatti, quando un bambino impara a parlare si inserisce un cuneo tra ciò che lui vive, il suo vissuto, e ciò che verbalmente può rappresentare e poi dire. Come osserva D. Stern, uno dei più grandi studiosi delle relazioni interpersonali del bambino piccolo, con il linguaggio si istituisce una scissione tra l’immediato e personale e il mediato impersonale. Il linguaggio è una nuova forma di relazione, di unione e di essere insieme, ma anche un ostacolo dell’integrazione tra il sé e il sé con l’altro. Il linguaggio rappresenta il mezzo ideale per l’informazione categoriale ma introduce un cuneo tra ciò che si dice e ciò che si pensa. Con la sua comparsa, il bambino viene estraniato dal contatto diretto con la propria esperienza personale. Dice ancora Stern, “il linguaggio apre necessariamente uno spazio fra l‘esperienza interpersonale vissuta e quella rappresentata”.

È anche questo che fa parte della bellezza e della forza dell’infanzia, il non poter mentire. A differenza degli adulti che, come accade per quel che riguarda la situazione dell’ambiente, ad esempio, mentono, ingannano se stessi e gli altri, il bambino piccolo non è letteralmente in grado di farlo. Egli è tutto teso a farsi capire e comunica con tutto se stesso, soprattutto con i gesti e l’espressività fisica, non ha nessun retropensiero. Quando imparerà a parlare questo non sarà più possibile. Spesso dirà una cosa ma ne penserà un’altra. E, anche senza voler ingannare, si scontrerà con un altro limite del linguaggio: l’indicibile a cui si addice solo il silenzio. Quello che precede e segue sempre le parole.

Ma di questo parlerò nel prossimo numero perché ho terminato lo spazio a mia disposizione e quindi, con un gesto mi porto un dito alla bocca, invitando me stesso e gli altri a tacere. Shhh, silenzio.   🤫

 

 

 

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