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TEMPO VISSUTO O MISURATO?

 

Il dubbio / 114

TEMPO VISSUTO O MISURATO?

di Enea Di Ianni

 Vengo da un’infanzia in cui il tempo di vita lo scandiva l’orologio della torre municipale e le campane della chiesa. L’orologio del Comune batteva le ore e i quarti con un suono nitido che la neve invernale riusciva soltanto ad ovattare e, non certo, ad annullare. Le campane usavano, invece, un linguaggio noto a tutti, a chi sapeva contare e a chi con i numeri non aveva dimestichezza. Di buon mattino, più o meno alle sei, il “mattutino” e, poco dopo, quello della Messa. Alle 12 il “mezzogiorno”: 13 rintocchi  ( 3 e pausa, 4 e pausa, 5 e pausa, 1 finale) che significavano per tanti darsi da fare in cucina, per diversi posare gli attrezzi di lavoro e per tutti rifocillarsi per quel che si poteva e per quanto si possedeva. Poi c’era il suono delle “ventun’ora” a ricordare l’ora della morte di Gesù; di poco più tardi quello della funzione serale col rosario e, alla fine, i rintocchi dell’ “Ave Maria”: “in casa o per la via” perché un tempo, quando ancora c’erano le porte sulle mura di cinta, poco dopo quel suono le porte si sarebbero chiuse fino al mattino successivo.

I primi orologi a comparire nelle case erano stati i “tascabil” dal diametro più o meno di 5 centimetri e dotati di catenella che consentiva di tenerli assicurati alla giacca o al panciotto. Nel mio studio, sulla parete che fiancheggia, a sinistra, la mia scrivania, ce ne sono due. Uno è quello appartenuto a mio  nonno materno, Domenico. E’ un orologio col quadrante bianco porcellanato, doppia numerazione (in cifre romane da I a XII  sormontate, in cifre arabe, da 13 a 24). Sotto il “XII-24” c’è la scritta “ROSCOFF”. E’ perfettamente funzionale e va alimentato con carica manuale. Non ho mai conosciuto mio nonno, ma grazie al quell’orologio, l’ho sempre avuto accanto. Sentirlo battere mi rassicura su tante cose, anche nel convincimento che, suo tramite, qualcosa continua, nel tempo, a legarci.

Diversi anni fa, più o meno introno agli anni 84-85, una collega aquilana, Rosa Pagano, insegnante di Scuola dell’Infanzia, volle omaggiarmi col dono di un altro orologio, anch’esso tascabile, da affiancare a quello di mio nonno.

Lo gradii e da allora i due “segnatempo”, tascabili, pendono, affiancati, sulla stessa parete. Strana coincidenza: il dono dell’insegnante ha la scritta, nel quadrante, ECHAPPEMENT ROSCOFF MESSAGGERO e reca una identica doppia numerazione delle ore con il particolare che quella in cifre romane è evidenziata dentro  piccoli rilievi rotondi, di colore blu.

Funzionanti entrambi, averli a fianco mi confermano, ad ogni sguardo, che, indipendentemente dalla stagione e dalle persone di appartenenza, entrambi continuano a svolgere la funzione per la quale furono realizzati, d’intesa con la mia mano che, seralmente, gli dà la carica,.

Non è una mania, ma in casa gli orologi- come dire? – sono di casa.

In ogni stanza c’è la loro presenza e, pur se di foggia diversa, adempiono allo stesso compito. Li abbiamo a portata di vista anche se, tante volte, passano inosservati. Poi… poi succede che la nostra attenzione si soffermi su uno in particolare, su uno di essi. Un breve sguardo e ci si accorge che è fermo, ha cessato di segnare il tempo tra altri che, invece, continuano a scandirlo. E’ in quel momento, in quel preciso istante, che scatta uno strano meccanismo mentale-affettivo che spinge a ridare, rapidamente, impulso al macchinario e, contemporaneamente, senza volerlo, tornano a snodarsi, uno dietro l’altro, i ricordi legati a quel preciso strumento che, nel tempo, è divenuto più di un semplice oggetto di utilità e di arredo. Credo si tratti del senno del “poi” che si attiva e ci prende, compagno quasi sempre, di uno strano pizzicore allo stomaco che molti chiamano “nostalgia”.

Ci sono tanti orologi in giro, molti datati e diversi recenti compreso uno, da polso, regalatomi perché “potessi tenere sott’occhi” i passi fatti durante il giorno, le pulsazioni del cuore, la minima e la massima della pressione arteriosa e altro ancora. “E’ utile”, mi hanno detto regalandomelo. “…E’ davvero molto utile soprattutto oggi che andiamo sempre di corsa e siamo distratti da mille stimoli…!” Non discuto l’utilità, ma può un essere umano passeggiare tranquillamente , da solo o in compagnia, ammirare tutto ciò che si presenta al suo sguardo di curioso e, alla fine del percorso, ridurre tutto nel sapere quanti passi ha fatto, con quale ritmo cardiaco, quante pulsazioni al minuto e qual’ è stata la media della pressione o altro ancora?

Ma la soddisfazione vissuta con l’amico, camminando e discutendo, il bello dell’intesa e il calore della contrapposizione, la dolcezza riaccesa da taluni fatti e ricordi? Il rammarico per momenti sciupati o solo non apprezzati quale strumento sarà in grado, davvero, di misurarli?

Proviamo a chiedere a noi stessi quali momenti vorremmo tornare a rivivere e perché. Quando siamo soli, se potessimo chiedere a quell’orologio, che continua a ticchettarci davanti, di girare all’indietro, dove vorremmo riportarlo? A quale stagione, a quale momento, a quali luoghi, a quali persone? E se ci fosse consentito e fosse possibile chiedere,  sempre a uno di quegli orologi, di cancellare di botto tutti i momenti in cui non siamo stati autentici, leali, onesti, solidali, umani… quanta parte di “vita” scomparirebbe e quanta ne resterebbe?

Ci siamo sempre affezionati e legati al sommare, all’aggiungere momenti a momenti, ore a ore, giorni a giorni, convinti che fosse la loro somma il nostro vissuto. Ma è davvero così? Il tempo misurato corrisponde a quello vissuto? No, perché il tempo misurato dagli strumenti a disposizione dell’umanità (clessidre, orologi, calendari, agende, annali…) non distingue, tra quello trascorso, quello davvero fatto nostro. “Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?”[1] Si, perché vivendo, di tempo ne abbiamo impegnato nel vivere autentico, ma anche tanto, di tempo, lo abbiamo polverizzato rincorrendo il futuro  o rimpiangendo il passato, comunque ignorando il presente che, alla fine e senza che ce ne accorgessimo, si ritrovava ad essere “passato”.

Ci siamo spesi, e continuiamo a spenderci, vivendo per  il futuro e intanto il presente, che è vita vera, va scivolando nel passato con la somma degli opposti che vanno alternandosi sempre. “Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris. Nescio. Sed fieri sentio et excrucior”: “Ti odio e ti amo. Perché faccia questo, tu forse mi chiederai. Non lo so. Ma sento che ciò avviene e soffro come se stessi in croce” (Catullo). Qualcuno si sofferma nel dar peso ai momenti che procurano piacere, altri a quelli che generano sofferenza: sono superficiali i primi e masochisti i secondi? No, sono umani entrambi e nessuno è condannato ad appartenere ad una tipologia invece che all’altra. Dobbiamo solo rieducarci, tutti, ad assaporare i singoli bocconi, uno dopo l’altro, con calma, senza fretta, provando a riconoscere i sapori e ad apprezzarli mentre li degustiamo.

Il pasto perfetto, come la felicità,  non esiste; esistono, però, gli aromi e i sapori, anche i colori, che possono combinarsi in svariati modi. Di essi dobbiamo prendere coscienza per divenire abili nel saperli combinare a tempo e nel tempo. Orologio alla mano.

                          [1] Thomas Eliot,  “La Rocca”

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