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I bambini di Taranto e la (in) giustizia ambientale

Il Limite / 111

I bambini di Taranto e la (in) giustizia ambientale

di Raniero Regni

 È stato Dostoevskij a scrivere che il più grande degli imperi non vale le lacrime di un bambino e nessun grande ideale vale le sofferenze di bimbi tormentati. Ho ascoltato una parafrasi, se non proprio delle parole dello scrittore russo ma sicuramente del concetto da lui espresso, in un intervento del portavoce dell’Associazione Genitori Tarantini in un recente convegno organizzato a Palmanova su Educazione e pace.  “Tutto l’acciaio del mondo non vale la vita di un bambino – ha detto – I bambini vogliono vivere, vogliono poter respirare e giocare liberamente all’aperto senza rischiare la salute”.

Tutti conoscono la situazione della più grande acciaieria d’Europa, di valore strategico per il governo italiano, con i sui ventimila dipendenti, che ha provocato e continua a provocare uno dei più grandi disastrati ambientali del nostro paese. A Taranto ci sono ordinanze in cui si vieta ai bambini di giocare nei parchi e negli spazi verdi all’aperto. In certi giorni, i wind day, si dà indicazione agli abitanti di non uscire di casa e, in alcuni casi, si chiudono le scuole. Il quoziente intellettivo dei bambini che risiedono nei tre quartieri più esposti all’inquinamento prodotto dalla lavorazione dell’acciaio risultano inferiori di 10 o 15 punti rispetto ai loro coetanei che abitano nei quartieri più distanti. Le malattie, le sofferenze, le morti per tumore infantile sono nettamente superiori a tutti i dati regionali. Molti bambini si ammalano ancora prima di nascere perché il latte materno delle mamme del quartiere Tamburi è contaminato dalla diossina. In dieci anni 600 piccoli tarantini sono nati con malformazioni congenite importanti. Attualmente nel reparto di onco-ematologia vengono curati 60 bambini .

Tutti i governi italiani degli ultimi dieci anni hanno fatto decreti a favore della produzione industriale e contro il diritto alla salute. Il governo attualmente in carica, in modo particolare, ha ripristinato l’immunità penale allargandola a tutti i soggetti coinvolti nella produzione a carbone dell’acciaio. Per cui qualsiasi atto illegale commesso dall’acciaieria non potrà essere perseguito penalmente. Il rappresentante dei genitori tarantini ha parlato di razzismo ambientale, di discriminazione dovuta alla collusione tra i governi e l’impresa.  I cittadini sono diventati sacrificabili per la produzione di un settore strategico ma altamente tossico.

Un caso eclatante quello di Taranto, una tragedia dai toni greci (visto che nell’intervento si ricorda che la città di Taranto è stata fondata dagli spartani nell’ottavo secolo a. C.), ma vi sono molti altri casi di ingiustizia ambientale nel nostro paese di cui abbiamo parlato spesso in questa rubrica. E questo concetto di giustizia ambientale è stato inserito oggi in un importante studio pubblicato alla fine di maggio sulla prestigiosa rivista internazionale “Nature”, in un articolo dal titolo Perché l’idea di “confini ambientali” deve includere la giustizia ambientale. Il testo fa riferimento all’aggiornamento di uno dei più importanti studiosi di questioni climatico-ambientali, J. Rockstrom e della sua equipe, Uno spazio operativo sicuro per l’umanità, pubblicato nel 2009 e divenuto uno dei punti di riferimento imprescindibile degli scienziati. Il nuovo studio, da una parte, conferma che sette delle otto soglie o confini biofisici che rendono sicura la vita sulla terra, sono state superate. L’area dell’ecosistema naturale, l’integrità funzionale dell’ecosistema, le acque superficiali, le acque sotterranee, l’azoto, il fosforo e gli aerosol, sono oltre i limiti sicuri del sistema planetario terrestre. Rimane solo il clima, ma sappiamo che se si supera quello, come si sta verificando, le conseguenze saranno irreparabili e irreversibili. Ma non solo. Il nuovo studio, di cui riferisce “Nature”, dice anche che a queste otto soglie che definiscono uno spazio sicuro per l’umanità, se ne deve aggiungere una nona che è quella della “giustizia climatica”. Infatti l’inquinamento non è vero che colpisca tutti allo stesso modo, colpisce in maniera discriminatoria i più deboli e i più poveri che sono più esposti e hanno meno mezzi e risorse per difendersi delle aggressioni ambientali. Se le risorse sono distribuite in maniera troppo diseguale questo si riverbera anche sugli effetti dell’inquinamento. Per cui bisogna tenere conto del fatto che tutti, soprattutto i più vulnerabili, hanno il diritto assoluto all’acqua, al cibo, all’energia e alla salute, ma anche al diritto a un ambiente pulito. Quindi non solo limiti sicuri ma anche giusti. Qui la scienza incontra, come al solito, la politica dell’eguaglianza. I nascituri, i neonati, i bambini e i giovani sono maggiormente esposti e quindi discriminati rispetto al resto della popolazione e il caso di Taranto lo conferma. Abbiamo bisogno di un ambiente sicuro e giusto per tutti.

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