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GIORGIO CAPRONI IL POETA

Giorgio Caproni, nato il 7 gennaio 1912, è stato uno dei più grandi poeti italiani del Novecento. La sua poetica si distingue per i temi ricorrenti del viaggio, di Genova e della Madre che spesso evoca e ricorda nelle sue poesie. La figura materna rappresenta un punto di riferimento emotivo e spirituale nella sua vita e nella sua poetica. La madre assume un ruolo simbolico, connotato da affetto, protezione e senso di appartenenza.

Genova, definita la “città dell’anima” ricca di storia e cultura, diventa un luogo di ispirazione e riflessione per il poeta. Caproni esplora le strade, i vicoli e i panorami di Genova, creando una mappa poetica che mescola paesaggi fisici e spazi interiori.

Il viaggio è un altro tema fondamentale che nella poetica di Caproni assume un significato allegorico, rappresentando la ricerca e la scoperta della vita stessa, spazio nel quale Il poeta intraprende un percorso interiore, esplorando le profondità della propria interiorità nel cercare un senso alla sua a all’altrui esperienza umana. Il viaggio diventa il modo di esplorazione della condizione umana, delle sfide dell’esistenza e della ricerca di significato.

 Uno stile sobrio ed essenziale caratterizza la scrittura di Caproni accompagnato dalla scelta, di parole accurata e da una musicalità sottile.dando corpo alla personale e alla universale esperenzialità nell’esplorazione delle complessità dell’essere umano e del mondo che lo circonda. Il poeta è considerato uno dei grandi maestri della poesia italiana del Novecento, dove ha lasciato un’impronta significativa nel panorama letterario del suo tempo.

Alba, 

Amore mio, nei vapori d’un bar
all’alba, amore mio che inverno
lungo e che brivido attenderti! Qua
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa
di rinfresco anche l’occhio, ora nell’ermo
rumore oltre la brina io quale tram
odo, che apre e richiude in eterno
le deserte sue porte?… Amore, io ho fermo
il polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un’eco. Ma tu, amore,
non dormi, ora che in vece la tua già il sole
sgorga, non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte.

 

Ricordo,

Ricordo una chiesa antica,
romita,
nell’ora in cui l’aria s’arancia
e si scheggia ogni voce
sotto l’arcata del cielo.

Eri stanca,
e ci sedemmo sopra un gradino
come due mendicanti.

Invece il sangue ferveva
di meraviglia, a vedere
ogni uccello mutarsi in stella
nel cielo.

 

Perché restare, 

Chi sia stato il primo, non
è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo.
Poi, uno dopo l’altro, tutti han preso la stessa via.
Ora non c’è più nessuno.
La mia
casa è la sola
abitata.
Son vecchio
Che cosa mi trattengo a fare,
quassù, dove tra breve forse
nemmeno ci sarò più io
a farmi compagnia?
Meglio – lo so – è ch’io bada
prima che me ne vada anch’io.
Eppure, non mi risolvo. Resto.
Mi lega l’erba. Il bosco.
Il fiume. Anche se il fiume è appena
un rumore ed un fresco
dietro le foglie.
La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch’essa
da un pezzo – già non se ne fosse andata
da questi luoghi.
Aspetto
e ascolto.
(L’acqua,
da quanti milioni d’anni, l’acqua,
ha questo suo stesso suono
sulle sue pietre?)
Mi sento
perso nel tempo.
Fuori
del tempo, forse.
Ma sono
con me stesso. Non voglio
lasciare me stesso uscire
da me stesso come,
dal sotterraneo
il grillotalpa in cerca
d’altro buio.
Il trifoglio
della città è troppo
fitto. Io son già cieco.
Ma qui vedo. Parlo.
Qui dialogo. Io
qui mi rispondo e ho il mio
interlocutore. Non voglio
murarlo nel silenzio sordo
d’un frastuono senz’ombra
d’anima. Di parole
senza più anima.

Foglie

Quanti se ne sono andati…
Quanti.
Che cosa resta.
Nemmeno
il soffio.
Nemmeno
il graffio di rancore o il morso
della presenza.
Tutti
se ne sono andati senza
lasciare traccia.
Come
non lascia traccia il vento
sul marmo dove passa.
Come
non lascia orma l’ombra
sul marciapiede.
Tutti
scomparsi in un polverio
confusi d’occhi.
Un brusio
di voci afone, quasi
di foglie controfiato
dietro i vetri.
Foglie
che solo il cuore vede
e cui la mente non crede.

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