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SANREMO E’ SEMPRE SANREMO ?

Abruzzesità / 94

SANREMO E’ SEMPRE SANREMO  ?

di Enea Di Ianni

“Sanremo è Sanremo…!” Così recitava una sigla-spot musicale della città del Festival della canzone italiana nonché città dei fiori. Anche chi non è particolarmente innamorato della musica e chi se ne infischia del bello dei fiori, del loro fascino,  del profumo che emanano e del gioco di colori che piace tocca gli occhi e il cuore, non loda e non denigra: rimane, semmai, silenziosamente indifferente, com’ è giusto che sia.

Perciò “Sanremo è Sanremo” soprattutto per quanti ogni anno, puntualmente a febbraio, sono presi dalla  curiosità di dedicarsi per due, tre, quattro e quest’anno cinque serate, alla visione ed ascolto della sagra della canzone italiana, al “Festival” nato nel 1948 e forse proprio per una sana voglia di dimenticare tante sofferenze e di farlo cantando se è vero il detto “canta che ti passa”. L’attenzione durante le serate del Festival si riversa su tutto: sui personaggi e sull’allestimento, sul “bel canto” e sulle gag, sulle orchestrazioni e sugli abbigliamenti, sui presentatori e sugli ospiti, sulle “vallette” di turno e sulle loro stravaganze, sull’ interno dell’Ariston” e fuori di esso per giungere, grazie ad un volo di drone, all’’interno della “Costa Smeralda” – recente appendice che arricchisce ulteriormente la gara canora. Personalmente amo la musica da sempre e ammetto di essere un fedele del Festival. Lo abbiamo sempre vissuto in famiglia, tranne negli anni in cui comparvero i primi televisori che, presenti solo nei due bar del paese, si prenotava il posto serale in uno dei due. Non ascoltare la gara canora voleva dire, per noi, mancare un appuntamento importante, una ricorrenza quasi solenne. Così ci siamo spesi, nel tempo e durante quelle sere, nel fare previsioni,  a gioire o rattristarci a seconda che la vittoria arridesse ai nostri beniamini o ad altri. C’è da dire che, al di là delle preferenze, è rimasto sempre gradevole assaporare, sia pure a distanza, il clima di “bon tone” che dalle immagini si avvertiva. C’era più spazio alle canzoni e meno alle pubblicità, è vero, più attenzione agli arrangiamenti orchestrali che alle “sonorità” diverse, ma, al di là dei cambiamenti, che pure sono segni di vitalità, si è sempre respirato un clima di rispetto che i protagonisti, tutti, hanno sempre avuto nei confronti del pubblico in sala  e a distanza, della “location”, del luogo e del contesto.

Anche quest’anno la “location” si è presentata curatissima. Scenografia e addobbo del palco dell’ “Ariston”  testimoniavano l’omaggio di Sanremo e della Liguria tutta ai presenti fisicamente e a quanti, collegati in video, lo erano a distanza. A colpo d’occhio, osservando quella ricca fioritura e riflettendo sul senso di dolcezza che mi procurava, non ho potuto fare a meno di andare col pensiero ad un altro “Sanremo” e ad una canzone ascoltata, così attuale oggi per sottolineare l’assurdità di qualsivoglia violenza tra uomini e popoli. Il canto arrivava dalle voci de “I Giganti”:

“Mettete dei fiori nei vostri cannoni /perché non vogliamo mai nel cielo

molecole malate, ma note musicali / che formano gli accordi / per una ballata di pace…”

 

Riesco ad immaginarla quella pioggia di fiori, senz’altro stupendi come quelli che addobbano il palco dell’Ariston. La immagino e provo un senso di dolcezza, una serenità d’animo capace di diradare qualsivoglia sentimento di ostilità umana. Un bombardamento di fiori che non uccidono e innamorano.

Intanto sul palco si esibisce Blanco, il vincitore dello scorso anno.

Blanco e la sua “Band” sono vivaci, spiccano per il biancore dei loro abbigliamenti e l’agilità dei movimenti. Poi c’è un momento in cui il cantante, muovendosi verso i suoi, strattona di poco il chitarrista o bassista, non riesco a distinguere lo strumento, e intanto si tocca, con un dito, l’auricolare che porta all’orecchio. Ho l’impressione che bisbigli qualcosa all’amico suonatore, ma  noto solo il movimento delle labbra. Poi, proprio sul finire dell’esibizione, il cantante  dà l’impressione di voler simulare un’aggressione agli addobbi floreali che ha intorno… No, non pare: li aggredisce davvero a calci, con forza e senza un apparente perché. Penso si tratti di una trovata concertata, tanto per fare spettacolo.  E’ un pensiero, però, che dura poco, pochissimo: in un attimo vasi e fioriere sono fatti fuori per davvero.

La studiata scenografia floreale è ridotta, in breve,  ad immondizie e il cantante vi scivola sopra, cadendo. Il pubblico dell’ “Ariston” accompagna con fischi quella strage di fiori; Amadeus prova a capire cosa sia successo.

Non sentivo la voce…” , tenta di spiegare Blanco rialzandosi da terra, dov’era scivolato nella foga del brutto momento. Si allontana mentre il presentatore  lo tranquillizza accennando alla eventualità di ripetere il brano prima della conclusione della serata.

Non è stato un bel momento, anzi è stato bruttissimo.  Il buon Gianni Morandi, armato di scopa e, credo, davvero di tanta pazienza e sorpresa, si avvia  a ripulire il palco dai fiori ridotti a rifiuti. Per me la prima serata di Festival  finisce qui, sulla promessa-proposta di Amadeus e sullo scempio alla natura, ad una natura assolutamente indifesa e messa lì ad omaggiare chi avrebbe calcato la scena. Ho spento il televisore ripensando alle tante  volte che, di fronte alla fioritura di una siepe, di un’aiuola, di un albero, mi ero fermato ad ammirare quel miracolo della natura e, ancor di più, a quando, da uomo di scuola e genitore, un fiorellino, recatomi dalla mano di un bimbo o di una bimba, mi testimoniava, in silenzio, il bene che quel bimbo e quella bimba nutrivano nell’intimo per la mia persona. Voleva dire tanto quel fiore!

Il miracolo di ogni primavera lo abbiamo compreso sempre attraverso il linguaggio dei fiori, tanti e diversi, e tutti, sempre e  straordinariamente, così fragili da farci sentire in dovere di proteggerli.

Nei parchi abbiamo segnato, per tutelarli,  il territorio riservato ai fiori con le scritte “Non calpestare le aiuole”, scritte  rivolte agli adulti, a quelli che sanno leggere, ma con l’intento che essi lo potessero  dire  ai più piccoli, ai bimbi e alle bimbe che hanno sempre fame di parole e tanta curiosità di conoscerle ancor prima di saperle e poterle leggere.

Il nostro tempo è quello del “green”. Ci stiamo decidendo, finalmente, a vivere in una dimensione “green” provando a rendere sani  gli ambienti e i luoghi della quotidianità. Ci andiamo ripetendo che tale stile di vita comporta l’assunzione di comportamenti “green” nell’alimentazione, nell’evitare sprechi, nel dar vita e tutela a “spazi verdi”, a orti  e giardini  urbani e di casa. Ci stiamo convincendo, finalmente,  che la possibilità di “vivere green” dipende da quanto impariamo a “pensare green”, da quanto riusciamo ad educare noi stessi nell’assumere, in ogni momento  e in ogni ambito,  stili quotidiani di vita improntati ai principi del “vivere green”. Ma non basta; sono indispensabili anche la volontà e la capacità di trasmettere questi principi ai più piccoli. Dar vita ad un’ “educazione green” e tale educazione, come tutte le educazioni, non può che fondarsi sull’esempio e sull’agire degli adulti. Perciò occorrono senz’altro avere contatto con la natura, con gli animali, giocare con l’acqua e la terra, aver dimestichezza col veder crescere un albero da frutto, accarezzare la superficie di una mela, di una pesca, assaggiarle entrambe per gustarne il sapore e cogliere le differenze. E’ indispensabile aver cura che gli ambienti di vita siano  ricchi di esempi “green”: scuole e case con fioriere, giardini con aiuole variopinte da ammirare e non calpestare, messaggi multimediali che abbiano a cuore e diffondano amore e mai violenza. Neppure quella fatta a dei fiori, in una città che, nel lontano 1948, proprio in una serata di Festival, il primo di una lunga serie, già allora inneggiava ad essi , ai fiori, alla regina dei fiori, con le note di “Grazie dei fiori”! Non c’era Blanco, non ancora; c’erano, invece, il garbo di Nilla Pizzi e la melodia di una canzone passati alla storia come esempio di dolce gratitudine e d’amore.

 

 

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