
Abruzzesità / 94
“CHI PECURA SE FA…”
di Armando Gizzi
Armando Gizzi (dialetto “sulmontino” frammisto di sonorità “cocullesi”, cioè del dialetto parlato in quel di Cocullo (AQ),suo paese natio) nei momenti di pausa dagli impegni militari (Ufficiale dei Bersaglieri) ama tuffarsi nel mondo che lo ha visto nascere e del quale conserva non solo l’idioma, ma anche il sentire della gente dalla quale ha avuto in dono pane e affetto, rigore e dolcezza, amore e coraggio.
Il titolo della raccolta, “Anche se…”, è chiaro e anticipa la presenza di un continuo confronto tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, una sorta di “rivolta ideale al tempo presente”, come scrive, nella Prefazione, Don Antonino Chiaverini, sacerdote e letterato di valore, noto e apprezzato nella Diocesi di Sulmona – Valva degli anni 70.
La poesia “Chi pecura se fa…” nasce dal riflettere sul “paese” della memoria e su quello del presente, un confronto che genera sconforto e amarezza. Vederlo, oggi, spopolato da affollato com’era, ritrovarlo povero anche di legami e di affetto, fa male al cuore, tanto male! L’abbandono domina ogni cosa e ad esso si accompagna, purtroppo, la divisione tra la poca gente rimasta,
caratterizzata da una specie di distacco e di indifferenza umana dominante.
Da qui nasce, nel poeta, una sorta di ribellione, una sana e robusta voglia di spezzare la catena di menefreghismo che tutto avvolge e soffoca.
Ma come? Tornando ad essere protagonisti, ad essere uomini e donne del “fare” più che del “dire”, recuperando, ancora una volta, il desiderio e la capacità di impegnarsi sorretti dal coraggio e dalla speranza e rinnegando la viltà della disperazione o, peggio ancora, del silenzioso e passivo “stare a guardare”. Chi si atteggia a pecora, prima o poi, finisce in bocca al lupo!
“CHI PECURA SE FA…” di Armando GIZZI
Paése de gli Abbruzze sfurtunàte,
andò na vòte se vevéve ’n tante,
te vede, uogge, ’mma nn’abbandunàte
che se strascìne fra trestézze i ppiante!?!
Che destìne crudèle che cce tòcche,
cuntrariamènt’ a quante ce mertéme!
Iavàme ’mmà pecin’alla velòcche
i mmò, purtròppe, separàte stéme!
‘N zze ne po’ cchiù! Gli sangue pe’ lle véne
passe velòc’ i ffa ’bbullì talmènte
da mòv’ a rrompe’ cchiù de na caténe…
Chi pecura se fa, lupe gli magne
dentre ’stu munne ’n parte malamènte…
Suoglie chi lòtte po’ sperà che ccagne!
CHI PECORA DIVENTA…
Paese dell’Abruzzo sfortunato,
dove una volta si viveva in tanti,
ti vedo, oggi, come una persona abbandonata
che si trascina fra tristezza e pianto.
Vhe destino crudele che ci tocca,
contrariamente a quanto meritiamo:
eravamo come pulcini con la chioccia
ed ora, purtroppo, viviamo separati!…
Non se ne può più! Il sangue per le vene
passa veloce e genera tali bollori
da spingere a spezzare tutte le catene…
Chi si atteggia a pecora, il lupo lo mangia
In questo mondo in parte malvagio…
Soltanto chi lotta può sperare nel cambiamento!