Letteratura / 92
La marathon des sables: l’Africa “apre il deserto” allo sport
di Giuseppe Mazzocco
Di tutte le specialità atletiche, la maratona è quella che più possiede il fascino straordinario della gestualità mistica: una via di mezzo fra l’emozione religiosa, della celebrazione commemorativa, e la gioia pagana della festa per una vittoria bellica. Nasce, secondo la storia, dal sacrificio di un “soldato-emerodromo” (“emerodromo”, letteralmente, significa “correre per un giorno”, dovendo arrivare prima del tramonto).
Messaggero di pace o di guerra, l’“emerodromo” non sarebbe, forse, entrato nella leggenda se uno di loro non fosse morto, nel 490 a.C., per annunciare ad Atene la vittoria riportata sui Persiani, arrivando prima che la città fosse data alle fiamme, per non farla cadere integra nelle mani dei nemici.
Il soldato-corridore (di nome Filippide) era partito dalla cittadina di Maratona, sulla costa nord-orientale dell’Attica, ed aveva corso la distanza per Atene, velocemente e con la gioia nel cuore, morendo all’arrivo, dopo aver comunicato il messaggio.
La corsa sulla lunga distanza, fatale al leggendario “emerodromo”, fu introdotta ufficialmente nel 1896 nei programmi olimpici col nome di “maratona” e nell’Olimpiade di Londra del 1908 ne fu determinata, in maniera definitiva, la lunghezza: 42,195 km.
La “marathon des sables” è un’affascinante gara del nostro tempo che si può collegare, idealmente, con la mitica corsa di Filippide, partita da Maratona. È una corsa a piedi, a tappe, sahariana, della durata di sette giorni, su una distanza approssimativa di 220 km e con l’itinerario segreto, che si conoscerà solo prima della partenza.
Durante il percorso, su terreno vario e non uniforme, è possibile, tra l’altro, “subire” delle forti tempeste di sabbia, che annullano la normale visibilità.
L’andatura è libera ed in autosufficienza alimentare, con l’obbligo, per ciascun concorrente, di portare il suo equipaggiamento (cibo ed altro materiale di sussistenza).
Il percorso della “marathon des sables” sarà indicato sul terreno da segnali messi alla distanza di 1 km; anche la tappa non stop, per la parte notturna, avrà segnali luminosi messi alla stessa distanza. Tutto l’itinerario sarà segnato su un “road-book”, consegnato ad ogni partecipante, che riporterà altre indicazioni.
Durante ogni “briefing”, prima della partenza giornaliera, il direttore di corsa potrà fornire ulteriori informazioni, ricordando, sempre, che in caso di necessità ogni concorrente dovrà arrestarsi sull’asse del percorso, usare il razzo di segnalazione ed aspettare l’arrivo dei commissari!
La prima cosa che colpisce, leggendo lo scarno programma della gara, è la parola “bivacco”. Il termine trasmette l’idea dell’avventura e, abbinata alla parola sabbia, si arricchisce ulteriormente di fascino misterioso: il falò fra le dune, il vento che porta l’odore dei cammelli ed un “silenzio pieno di stelle”.
Chi ha vissuto l’Africa sahariana riconosce queste parole, ma non penserebbe mai a gente che corre, gareggiando, nel deserto, con uno zaino sulle spalle. Lo zaino, incredibilmente controllato dai commissari prima di ogni partenza, racchiude non solo la speranza di arrivare, ma tutto quanto prescritto per “sopravvivere” alla gara. I posti di controllo, distribuiti lungo il percorso, valuteranno il tempo di ogni singolo concorrente, garantiranno l’approvvigionamento d’acqua e forniranno l’eventuale assistenza medica.
Il materiale d’assistenza ammesso, dentro lo zaino, comprende: un sacco a pelo, una lampada con pile di ricambio, dieci spille di sicurezza, una bussola, un accendino, un coltello, un antisettico cutaneo, una pompa succhia-veleno, un fischietto ed uno specchio da segnalazione. Un kit da sopravvivenza sarà distribuito dall’organizzazione e comprenderà un telo d’alluminio, pastiglie di sale, un razzo e dei bastoncini luminosi (per la tappa notturna). Nello zaino è previsto altro materiale, a scelta del maratoneta, per un peso che può variare da 5 a 15 kg.
Ansimando su secolari tracciati carovanieri, l’“uomo del computer” corre attraverso il deserto, incrociando l’“uomo del cammello”, che nello stesso ci vive.
L’uomo d’oggi, per impadronirsi di un’emozione che lo aiuterà a vivere meglio il proprio futuro, si trasforma in antico “emerodromo” e vive un’avventura con la coscienza dei propri limiti, ma con il coraggio di scoprirli tutti. Davanti ai fuochi della sera, riposerà più la mente che il corpo e correrà, leggendo la sabbia, per cercare la direzione giusta e per “dare, a se stesso, la notizia di avercela fatta”.
di Giuseppe Mazzocco