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CHI DANNEGGIA L’IMMAGINE E CHI DANNGGIA LA REALTA’ PER UN TURISMO SOSTENIBILE

Il Limite / 90

Chi danneggia l’immagine e chi danneggia la realtà

Per un turismo sostenibile

di Raniero Regni

 Quando lo scorso anno, cercando mezzi per contrastare una scelta sbagliata della Regione Umbria che concedeva a due cementifici di Gubbio la possibilità di utilizzare centomila tonnellate di rifiuti come combustibile, trasformandoli di fatto in inceneritori impropri, con meno controlli e più alti profitti, un comitato di cittadini ha pubblicato una foto che, con un teleobiettivo, mostrava quanto fosse vicina la ciminiera fumante di un cementificio alla splendida silhouette medievale del Palazzo dei Consoli. Nonostante il fatto che non si trattasse di un fotomontaggio ma della evidente realtà che fa immediatamente dire a chiunque, “che cosa centrano i cementifici con la più bella città medievale!”, qualcuno sollevò il problema che così si danneggiava l’immagine della città.Quasi che questi cittadini insorti a difesa della salute e dell’ambiente amassero meno il proprio luogo di origine! È fin troppo evidente che è vero il contrario, chi non vorrebbe mostrare la verità per difendere l’immagine, danneggia e distrugge davvero la città. Chi vorrebbe nascondere i fumi pericolosi ama di meno il suo paese di chi quei fumi li vorrebbe scomparsi per sempre.

Gubbio, come tante altre straordinarie ed uniche città italiane, con il suo quasi intatto centro storico, racchiuso dentro le mura, rappresenta un vero e proprio patrimonio. E questo nel doppio senso della parola. Il suo inimitabile paesaggio urbano rappresenta una eredità dei padri, un lascito della creatività del Medio Evo e, contemporaneamente, rappresenta un patrimonio economico, che produce reddito e ricchezza. Certamente la vera vocazione della città è il turismo, la storia, la cultura, la spiritualità, l’enogastronomia. Certamente il suo futuro è quello delle filiere corte di prodotti biologici, delle produzioni di qualità di cibi e bevande, di una difesa della salubrità dell’aria e dell’acqua che fa tutt’uno con la bellezza del paesaggio, di attività economiche ad alto valore aggiunto sul piano intellettuale come i festival culturali, la ricerca universitaria, la convegnistica, ma anche il cicloturismo e così via.

 

Gubbio è una città d’arte, una città di turismo culturale, e il turismo è una vera e propria industria che valorizza la bellezza e la storia. Ma anche questa industria va gestita pensando alla sua sostenibilità, anche questa industria deve porsi il problema dei limiti. Intanto il turismo presenta aspetti paradossali quasi ineliminabili. Tutti noi siamo turisti perché viviamo nell’era del turismo che non ha eguali nella storia umana. E, come tutti i turisti sanno, il primo compito di un turista è evitare i turisti. Sì perché il turismo si basa sull’idea paradossale del consumo culturale di un prodotto che si presuppone come autentico. Ma esiste una dialettica pericolosa per cui più aumentano i turisti e più l’autenticità del luogo scompare. Ad esempio, la cucina tipica diventa sempre meno tipica e più confacente ai gusti dei turisti. Altro esempio è il fatto che i centri storici italiani ma anche stranieri, più sono meta turistica più perdono abitanti autoctoni. Quelli che rimangono sono essi stessi impigliati nella rappresentazione quasi teatrale della tipicità. Come sostiene un acuto osservatore come Marco D’Eramo, ”il turista cerca raramente l’autentico, perché spesso quello che vuole è una caricatura dell’autenticità, una conferma delle sue aspettative”. Il turista fugge per un periodo dalla sua vita quotidiana e non vuole inserirsi in un’altra vita quotidiana, ma vuole e cerca la diversità, l’alterità. Come avevano osservato già tanto tempo fa Horkheimer e Adorno, “la cultura è una merce paradossale perché finisce per coincidere con la réclame di cui ha bisogno”.

Quello che muove il turista è la nostalgia dell’autentico e questa rimane sempre una mancanza: nostalgia dell’autentico in un mondo inautentico. Ecco perché l’archetipo del turismo è quello di carattere religioso, quello del pellegrino, non solo perché è stata forse la prima forma storica di turismo, ma perché il turista cerca sempre un rapporto con il mondo dell’invisibile, cerca qualcosa che non è utile ma possiede un alto valore simbolico. Visitare una città, un monumento, un paese è un’esperienza che può aprire la nostra mente, aumentare la nostra esperienza e persino renderci migliori. Ecco perché il turismo è un fondamentale rituale moderno, ecco perché i turisti si sottopongono a forme estenuanti di impegno e fatica pur di vedere tutto e assaggiare tutto o il più possibile.

Una città turistica non dovrebbe recitare se stessa, non dovrebbe essere un museo o un’opera d’arte morta, ma dovrebbe rimanere un luogo vivo e vivibile sia per i residenti che per i turisti. Il turismo non dovrebbe uccidere la città, ma la sua conservazione dovrebbe significare far vivere di nuovo monumenti e bellezze storiche capaci però di accogliere anche la vita del presente.  Trovare un nuovo uso che la vecchia forma possa assolvere. Questo per dire che anche l’industria turistica ha i suoi limiti, e il suo impatto, sempre meno dannoso di quello di un’industria insalubre, deve essere valutato attentamente. Se essa rappresenta attualmente il più importante flusso di denaro contante per il nostro paese, deve essere gestita e non solo sfruttata e venduta, deve essere resa possibile da persone che allo sfruttamento del “patrimonio” abbiano anteposto il “matrimonio” con la cultura, che prima di sfruttare sappiano amare e vivere la loro stessa cultura, conoscere e proteggere la loro stessa città.

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