SAPERE MA NON CREDERE

Il Limite / 65

Sapere ma non credere

“Si deve prestare più ascolto alla profezia

di sventura che non a quella di salvezza”

H. Jonas

di Raniero Regni

Esiste da sempre nel comportamento umano uno scarto tra sapere e volere, tra sapere e credere a quello che sappiamo. Probabilmente è lo scarto tra la conoscenza e la volontà. Questo scarto è stato oggetto di riflessione da parte di molti filosofi. Per il Socrate platonico questo scarto era impossibile. Il razionalismo greco diceva che l’errore morale è sempre frutto di ignoranza. Si commette il male perché non lo si conosce bene e lo si crede bene. Si sbaglia perché non si sa, perché se si sapesse veramente, non si commetterebbero errori morali. Ma la filosofia moderna e postmoderna è di diverso avviso. Per Nietzsche noi percepiamo solo le domande a cui possiamo dare una risposta ed evitiamo le domane più inquietanti. Per Sartre l’essere umano è costitutivamente in mala fede, sa e non fa, sa e fa il contrario. Inganna gli altri ma, contemporaneamente, inganna se stesso. Oggi questo comportamento è diventato collettivo e si applica soprattutto ai problemi ambientali che si fanno sempre più incalzanti e urgenti ma noi non li vogliamo vedere. I disastri ambientali, il surriscaldamento del pianeta, la crisi delle materie prime, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra, la penuria di acqua potabile, ci dovrebbero spingere ad una riflessione oramai improrogabile sul destino apocalittico dell’umanità. Abbiamo acquisito la certezza che l’umanità è divenuta capace di autodistruggersi, sia direttamente con le armi di distruzione di massa, che indirettamente tramite l’alterazione delle condizioni necessarie alla propria sopravvivenza. Quelle che si prospettano sono “catastrofi della potenza”, derivate dall’eccesso di potenza umana unita ad un deficit di coscienza. Abbiamo acquisto i poteri di distruggere il pianeta ma non abbiamo cambiato la nostra maniera di pensare.

Ecco che oggi lo scarto tra ciò che sappiamo e ciò che vogliamo credere, tra ciò che riteniamo possibile ma evitabile e ciò che riteniamo impossibile si è fatto troppo pericoloso. Eppure, quel punto di rottura dell’equilibrio ecologico e climatico a cui siamo vicini, anzi forse abbiamo già superato, ci appare probabile ma impossibile. Qualcosa che la nostra mente non riesce a gestire.

Come osserva un raffinato epistemologo francese, J. P. Dupuy, “se bisogna prevenire la catastrofe, si ha bisogno di credere nella sua possibilità prima che si produca”. Esiste un modo economicistico di pensare al rischio ed è la prevenzione, ovvero calcolare il rapporto tra costi e benefici, cecando di minimizzare i danni: minimizzare la perdita massima. Ma questo è possibile solo nei confronti di un rischio certo. Ma se il rischio è costituito dalla catastrofe ambientale, dall’impazzimento del clima, ogni calcolo viene meno ed ogni previsione appare immorale prima ancora che inadeguata. Perciò si è sostituito il concetto di prevenzione con quello di precauzione. Il rischio che tale principio vuole evitare è quello potenziale: è il rischio del rischio. Il principio di precauzione impone il rovesciamento dell’onere della prova. Tocca all’innovatore provare l’innocuità del suo prodotto e non a quelli che potrebbero esserne le vittime, di provare la sua nocività. Il fatto che non si provi che il prodotto è nocivo non implica che si provi che il prodotto non è nocivo. Per cui, nel dubbio, non farlo. Ma di fronte a rischi non solo potenzialmente gravi ma a minacce apocalittiche, anche lo stesso principio di precauzione non basta più. Oramai c’è la certezza del peggio e solo questa può portare alla prudenza necessaria, adatta ai tempi attuali.

Ma questo è paralizzante e impone cambiamenti drastici. Per cui si preferisce non credere a quello che si sa. Eppure razionalità e paura non sono affatto incompatibili, anzi sono a veder bene alla base del pensiero moderno come quello di Hobbes. Secondo il filosofo inglese non è la concezione del bene ad unire gli esseri umani ma la paura del male maggiore. Ma c’è qualcosa che differenzia il pensiero di Hobbes da quello del filosofo tedesco contemporaneo H. Jonas, che abbiamo più volte citato in questa rubrica. Non è la paura per la nostra morte, una paura egoistica, ma quella per la morte di figli e nipoti a smuoverci: una paura altruistica. Questa non porta alla paralisi di ogni azione ma, al contrario, all’impegno.

Il nuovo principio di precauzione collegato alla catastrofe, muove anche da una considerazione sugli ecosistemi. E’ sempre un problema di limite. Superata una certa soglia critica i fenomeni accelerano e cambiano completamente la natura dell’ambiente. Gli ecosistemi sono straordinariamente complessi e questa complessità garantisce una straordinaria stabilità e una notevole resilienza ai cambiamenti. E sistemi viventi che garantiscono la nostra sopravvivenza sembrano capaci di affrontare ogni forma di aggressione e trovare i mezzi per adattarsi e mantenere la loro stabilità. Ma questo accade solo fino ad un certo punto. Oltre certe soglie critiche essi si rovesciano bruscamente. Fino ad un certo punto un corso d’acqua sopporta ogni forma di inquinamento, riuscendo a mantenere la vita dell’ecosistema. Ma raggiunta un certa soglia, basta una sola goccia in più di inquinamento per uccidere l’ecosistema e trasformare un fiume vivo in un rigagnolo morto. I sistemi viventi sono resilienti ma anche fragili. Spesso i segnali di allarme si accendo quando è troppo tardi.

Sappiamo che il modello di sviluppo che abbiamo avviato non è sostenibile, sappiamo che un aumento anche di pochi gradi della temperatura, come succede ad un organismo vivente (se da 37 passo con soli due gradi a 39 di febbre sono ammalato se passo a 41 sono morto), può compromettere la salute del pianeta. sappiamo che dobbiamo ridurre drasticamente l’emissione di CO2, ma continuiamo a fare come sempre. Sappiamo che l’acqua è una risorsa naturale limitata e preziosa, non ricreabile artificialmente, ma la usiamo negli impianti industriali obsoleti (ad esempio, un cementificio), per raffreddare o la sprechiamo per consumi inutili. Sappiamo che stiamo andando dritti dritti verso il disastro, sappiamo che climatologi e ambientalisti hanno ragione, ma di fatto gli diamo torto con il nostro comportamento. Forse perché è troppo grade il cambiamento e pensiamo di non avere forze sufficienti oppure pensiamo sotto sotto che qualche nuova invenzione ci salverà. Ma non è così. Dobbiamo sapere e credere a ciò che sappiamo e agire tutti assieme, da subito, a livello individuale e a livello politico, per evitare il peggio. Non siamo di fronte ad un destino ma ad una scelta.

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