La crisi che stiamo attraversando ha prodotto conseguenze economiche e sociali disastrose. La certificazione la troviamo impietosamente espressa nei risultati del 2020 che hanno visto la disoccupazione salire del 12%, flettere il PIL del l’11% ed aumentare il Debito ad oltre il 160% del Prodotto interno Lordo. Inoltre, secondo i dati ISTAT i poveri nel nostro Paese aumenteranno di un milione e quattrocentomila unità. E il rimbalzino previsto per il 2021 anche con i noti e attesi aiuti europei non cambierà di molto il quadro economico generale Se l’Italia è stato il Paese più duramente colpito rispetto a quelli con cui spesso ci confrontiamo in Europa (Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna) è perché i nostri indicatori economici erano degradati già prima della crisi. Anzi, per dirla tutta, dal 2008, anno della crisi dei subprime, l’Italia non si è più ripresa perché non è stata fatta alcuna riforma strutturale. Pertanto è di tutta evidenza che oggi si impongono misure eccezionali per limitare sia i fallimenti delle imprese, da una parte, e sia per salvare i posti di lavoro e sostenere i nostri concittadini più fragili, dall’altra. Qualcosa si può fare da subito cancellando per due anni l’IVA nel settore alberghiero e della ristorazione o almeno ridurla al 4% per un periodo più lungo. Si potrebbe poi predisporre una serie di diversificati e credibili sgravi contributivi per permettere l’ accesso al lavoro sia dei giovani che dei cinquantenni che l’hanno perso o che lo perderanno dopo che verrà rimosso il divieto di licenziamento sul quale si discute da diverso tempo. In questo primo gruppo di provvedimenti possono essere inserite anche quelle disposizioni tendenti a trasformare i prestiti garantiti dallo Stato in sovvenzioni a fondo perso ed anche quelle cartelle esattoriali emesse a seguito del Covid.
Proseguendo nel confronto con i Paesi europei sopra citati rilevo che l’Italia è quello che ha subito la più forte deindustrializzazione con conseguenze sulla disoccupazione e sull’arretramento della classe media. Per questo occorre una strategia di lungo termine per ridurre la nostra dipendenza energetica e industriale, per valorizzare il lavoro e l’attività artigianale e delle piccole imprese piuttosto che privilegiare l’assistenzialismo; insomma fare l’esatto contrario di quanto propone il segretario del PD Enrico Letta a proposito della paghetta da elargire ai diciottenni. Produrre in Italia è un imperativo non solo economico, sociale ed ecologico ma anche di sovranità nazionale. In questa ottica voglio proporre di creare un fondo sovrano tutto italiano nel quale mobilizzare il gigantesco risparmio privato per investirlo nei settori strategici, riducendo in tal modo la nostra dipendenza dall’estero. Per rafforzare questa misura si potrebbero assumere i due seguenti provvedimenti :
a) istituire un credito d’imposta per spingere le imprese ad abbandonare le sedi estere e rilocalizzare la loro attività sul territorio nazionale;
b) sopprimere tutta la fiscalità che grava sulla trasmissione delle imprese famigliari.
Ritengo che l’insieme di queste proposte, ove riuscissero a trovare accoglienza nelle azioni di governo, potrebbe rappresentare una vera e propria rinascita della nostra industria di tradizione.
Prima di chiudere mi piace ricordare che la deriva Italia a cui abbiamo assistito fino a qualche mese fa non è attribuibile al fato o a coincidenze astrali imprevedibili ma ad una classe politica quanto meno inadeguata. Ma come spesso è accaduto nel passato, nei momenti più difficili e complicati l’Italia ha saputo trovare le risorse per un sussulto insperato. Oggi viviamo uno di quei momenti ed abbiamo il dovere di non sbagliare creando le condizioni giuste per costruire un progetto credibile alternativo alla evanescenza dell’ultimo decennio. L’indebitamento può essere legittimo se ci consente di investire per l’avvenire ma è inaccettabile se viene utilizzato per pagare le spese di funzionamento della politica ( ogni riferimento alle generose elemosine erogate per non lavorare è puramente casuale).
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