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Paese che vai inquinamento che trovi: il caso del Messico

 Il Limite /148

Paese che vai inquinamento che trovi: il caso del Messico

di Raniero Regni

Ricordando Enea *

Nella mia libreria figurano ancora allineati in bell’ordine, sono gli Atti dei convegni di Pedagogia intitolati a L. Volpicelli che si svolevano a Villalago. Li richiamo perché è stata quella l’occasione in cui ho incontrato per la prima volta Enea. Lui ne era il redattore, perché era stato lui uno degli inventori e dei promotori di quelle indimenticabili giornate di riflessione pedagogica, a cui ho tante volte partecipato. Sfogliando ora quei volumi ritrovo tutto di Enea. La passione educativa, la creatività nello scegliere l’argomento, originale e diverso ogni anno, il gusto per la composizione grafica, le foto delle premiazioni, la sua allegria. Parlo della seconda metà degli anni ’90. Per me, giovane apprendista ricercatore, quel convegno rappresentava ogni anno un appuntamento fondamentale perché mi permetteva di stare vicino al mio maestro Ravaglioli, e di fare qualche prova accademica lanciandomi in relazioni spericolate, a cui Enea mi incoraggiava mostrando grande stima, che contraccambiavo.

Villalago rappresentava, come diceva Ravaglioli, il precampionato, alla fine di agosto, in giornate di afa che precedevano il settembre della convegnistica nazionale e poi l’ottobre dell’inizio delle lezioni universitarie. Ricordo con nostalgia quei momenti resi particolarmente intensi dall’atmosfera di semplice, non banale, amicizia che li pervadeva, e particolarmente belli dal paesaggio delle montagne abruzzesi che facevano da cornice. 

Aveva in animo Enea di riprenderli, di questo mi aveva parlato l’ultima volta che l’avevo sentito. Poi la notizia della sua scomparsa ha ammutolito tutti.   

È stato detto che le uniche cose che rimangono della nostra vita sono quelle che abbiamo donato. Enea è stato molto generoso, credo che abbia donato molto e per questo lascia molti bei ricordi in tante persone. 

Raniero Regni

Gubbio, marzo 2024

  • Enea di Ianni è morto nel sonno a Sulmona   la notte dell’11 marzo scorso. Il giorno precedente , su Centralmente LA RIVISTA,  nella Rubrica “Il Dubbio” dal titolo “Campagna o Campagne?” avevamo pubblicato il suo ultimo articolo 

 

 Paese che vai, inquinamento che trovi: il caso del Messico

                                  

Città del Messico è quella violenza e quei tacos e quella

disuguaglianza e quella cultura e quelle parole e quella musica e

sette secoli e milioni di milioni di macchine, di corpi e di rumori,

la capitale piú grande della lingua.

Città del Messico è la città per eccellenza, e una città è materia

fuori controllo, energia in un movimento incontenibile, folle che

si muovono, macchine che si muovono, soldi che si muovono,

ansie, appetiti, paure che si muovono per niente, per continuare a

muoversi. Tutta questa energia per creare altra energia per

spenderla per creare altra energia per spenderla per.

Alcuni lo chiamano capitalismo; altri, la vita.

Martín Caparrós

 

“Messico e nuvole”, cantava Iannacci. No, quello che vedo arrivando a Città del Messico non è un cielo, è piuttosto una cappa di smog. L’inquinamento aleggia sulla città più grande dell’America latina, con i suoi 25 milioni di abitanti, distesa come un mostro fuori controllo sul suo altopiano a più di 2200 metri di altitudine ma comunque chiusa in una conca. Ad esso contribuisce anche l’eruzione continua del gigantesco vulcano Popocatépetl, quello del famoso romanzo Sotto il vulcano di M. Lowry.

È una situazione insostenibile che si sta verificando in tutto il più grande stato dell’America latina. Una migrazione incessante dalle campagne alle città più grandi che si stanno trasformando in giganteschi conurbamenti privi di una fisionomia e di una struttura. Certo, anche il volo intercontinentale che mi ha portato qui non è sostenibile, credo che in futuro tali voli verranno contingentati, ridotti a quelli essenziali. Non saremo più liberi di prendere un aereo per qualunque destinazione, almeno finché la tecnologia non troverà anche qui una soluzione più sostenibile. In ogni caso sento il limite che sto oltrepassando con questo viaggio stancante lungo più di diecimila di chilometri.

Sono in America latina, un’espressione che serve per indicare qualcosa come

640 milioni di persone che parlano spagnolo e portoghese. Anche volendo riferirsi solo a quelle che parlano spagnolo sono 420 milioni. Divisi in 19 paesi che, a differenza di quelli che pure costituiscono l’Unione Europea, parlano la stessa lingua e per tre secoli hanno fatto parte della stessa colonia spagnola. Ed ha ragione il brillante giornalista argentino M. Caparròs, il cui libro Namerica mi sono portato dietro, a dire che potrebbero benissimo costituire un’unica confederazione che solo di recente ha finito per dividersi in tante “patrie” proprio nel momento dell’indipedenza dall’impero spagnolo.

Dopo Città del Messico volo a Monterrey, una città industriale del

nord dove trovo la stessa problematica ambientale. Sono sconsigliate le attività all’aperto. Visito delle bellissime scuole montessoriane ma i bambini sono costretti a giocare in una area residenziale centrale in un minuscolo parco giochi con qualche albero tra i grattaceli e i centri commerciali. Anche qui non si può stare tanto all’aperto, le fonderie e altri impianti industriali compromettono la salubrità dell’aria, che recupero invece raggiungendo il parco naturale che si trova sulla Sierra Madre e dal quale si domina la pianura con i diversi municipi che costituiscono una città che supera i cinque milioni di abitanti.

Anche così lontano sono vicino alle stesse tematiche che mettono in contrasto oramai dovunque il progresso umano e sociale e lo sviluppo economico e industriale. Non coincidono più, sono in contrasto e dove aumenta il secondo non è affatto detto che segua il primo.

In questo secondo soggiorno latinoamericano confermo l’impressione avuta nel primo. Un paese pieno di giovani con forti disparità sociali. Una cultura ricca e variegata, tante etnie e molti colori. Un clima forte e violento come violenta appare la realtà, ma forse meno di quella che pure la racconta e che fa coincidere il sud America con i Narcos e con le sparatorie per strada. Come sono i messicani domando alla mia ospite di Città del Messico, “luce nella strada e buio in casa”, mi risponde. Come a dire la pubblica gioia di vivere, il gusto per il cibo e la festa hanno comunque la loro ombra privata.

Eppure le persone che incontro sono incantevoli e generose, sorridenti e impegnate, ti abbracciano e ti accolgono con grande simpatia. E allora: Viva Mexico!

 

 

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