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CAMPAGNA O “CAMPAGNE”? 

Il Dubbio / 147

 CAMPAGNA O “CAMPAGNE”?

di Enea Di Ianni

 Negli anni in cui si era chiamati, scolasticamente, a dar prova di capacità nell’analisi grammaticale di italiano, l’unica differenza tra le parole “campagna” e “campagne” era il numero: la prima era al singolare e la seconda al plurale. Trattavasi sempre di un nome comune e di genere femminile, variava il numero. Crescendo e andando avanti, nella vita e negli studi, abbiamo pian piano compreso le tante differenze  che attengono allo stesso termine  “campagna

La “campagna” dei nostri ambienti paesani l’abbiamo incrociata da subito, già al primo saperci muovere in autonomia o, forse, ancor prima, quando, per esigenze di lavoro, le nostre mamme ci portavano con loro in luoghi che sapevano di fresco e di sole, dove il silenzio era di casa anche se, spesso, veniva interrotto da suoni, ronzii e cinguettii che vagavano per l’aria.

Campagna, allora, voleva dire luogo aperto, distante, di poco o di molto, dalle nostre dimore. Per tanta della nostra gente quel luogo è stato, ed è ancora, il luogo abituale di lavoro, lavoro agricolo dedito  a coltivazioni diverse  a seconda della zona e della qualità del terreno.

Tutto un mondo, quello dei lavoratori della terra, che proprio ai nostri giorni si è attivato come non mai: in tutta l’Europa muovendo dalla Germania.

Le ragioni? Le difficoltà di sopravvivenza di un settore, quello agricolo, penalizzato da politiche nazionali e comunitarie che sanno di eccessiva burocrazia nelle procedure per l’accesso ai fondi e di altrettanto eccessiva lungaggine delle filiere, di quei percorsi che, muovendo dal coltivatore e dai prodotti della terra, si incrementano di passaggi intermedi e di costi prima di arrivare ai clienti, agli abituali  consumatori.

Quanto costerebbe un’arancia se la catena dei passaggi si riducesse? Perché non lo si fa? “Cui prodest?” A chi giova?

Non certo all’agricoltore che , oggi, è gravato anche dall’incremento dei costi di carburanti, dei concimi e dal “riposo” dei terreni (- il 4% -) come previsto dalla Commissione Von de Leyen.

Campagna” è anche sinonimo di “periodo” impegnato, militarmente, per predisporsi a raggiungere, con adeguate strategie, un certo risultato bellico.

La Storia ce ne ha presentate diverse del passato lontano (le Campagne dei Romani …) e di quelli più recenti ( le Campagne di Napoleone Bonaparte e quelle di mussoliniana memoria come la Campagna d’Africa).

Oggi per lo più viviamo “Campagne pubblicitarie”, quelle che affollano non solo i mass-media, ma anche tappezzano luoghi pubblici, percorsi stradali ed altro ancora. Si definiscono “promozionali”, ma le finalità sono le stesse: far primeggiare un prodotto anziché un altro, condizionare le nostre scelte e decisioni. Tralascio le “Campagne acquisti-vendita” di calciatori, quelle che tengono impegnate le diverse tifoserie come non mai e senza alcun potere di condizionare o indirizzare le scelte dei “Patron”.

Proprio in questi giorni noi abruzzesi stiamo al centro di un’altra “campagna”, quella elettorale regionale. Mai visti tanti “big” della politica nazionale, mai ammirati tanti sorrisi elargiti senza parsimonia.

Tutti sanno di cosa abbisogniamo noi abruzzesi, dell’entroterra e della costa, e, finalmente, parlando, dimostrano anche di sapere come poterli soddisfare quei bisogni. Hanno strategie a puntino e ben studiate a tavolino.

In ballo, come candidati, tantissimi volti: qualcuno già sperimentato, diversi  assolutamente neofiti. Tutti passeggiano molto e, ovunque vadano, lo fanno in gruppo. Prediligono “fare” le cosiddette “vasche”: andar su e giù lungo la parte centrale del “Corso”, nel centro storico. Il numero di “vasche” dipende dalla gente che c’è e dai sorrisi che vengono raccolti.

I “politici” nazionali, più scafati e sornioni, si lasciano andare a dei “Carissimo…” e “Carissima…” ripetuti mentre sollevano, ad altezza di testa,  i pugni, serrati e col pollice in alto: un gestuale “Tu mi capisci…? Ok!”

Ne avremo fino a tutta domenica 10 marzo, forse qualche strascico tra lunedì e martedì. Poi finiranno certi sorrisi esagerati, torneranno a Roma tanti figuri e figurini. Li rivedremo nei telegiornali e ci diremo, magari, contenti per averli conosciuti “de visu”.

Con noi resteranno gli amici di sempre coi quali torneremo a parlare dei problemi, anch’essi di sempre. Qualcuno avrà il coraggio di ammettere, magari a mezza voce, che, forse, avremmo fatto meglio a scegliere diversamente il nostro rappresentante alla Regione.

 “Avere”, un verbo che coniugato al condizionale mette in evidenza quasi sempre un rammarico, qualcosa che sa del “senno del poi” e che ha che fare con tutte le tipologie di “campagne”…Sì, perché   quando deludono, per lo più dipende dal fatto che “noi” – noi contadino, stratega, pubblicitario, politico, candidato ed elettore – siamo stati comunque poco attenti nel valutare prima di decidere chi scegliere. Abbiamo dato retta all’apparenza e non all’essenza.

Ci siamo fidati e… come si dice? Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!

 

 

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