HomeEdizioniCOME USCIRE DALLA TRAGEDIA DEI BENI COMUNI

COME USCIRE DALLA TRAGEDIA DEI BENI COMUNI

 Il Limite /144

Come uscire dalla tragedia dei beni comuni

di Raniero Regni

 

Ciò che è comune alla massima quantità di individui riceve la minima cura. Ognuno pensa principalmente a se stesso, e quasi per nulla all’interesse comune

                         Aristotele, La politica, Libro 11, cap. 3

 

Essere al mondo senza credere di essere il centro del mondo, per gli umani è molto difficile, rispetto agli esseri viventi, e lo è anche per ognuno di noi, rispetto ai propri simili. Il sistema di vita che abbiamo creato, basato sulla produzione in massa di beni, sulla competizione economica, sull’incessante sviluppo tecnologico, comincia a mostrare molti limiti. Abbiamo oramai una nuova certezza. Quando si tratta di beni comuni, di beni relazionali, che vengono prodotti in un rapporto e non possono essere goduti in esclusiva e singolarmente, il capitalismo non funziona. La sua razionalità fondata sulla ricerca del benessere individuale non sa prendersi cura del pianeta, dei beni comuni e dei rapporti umani. Dobbiamo imparare ad utilizzare i beni senza possederli diventando i custodi della Terra. Chi pretende di essere padrone dei beni comuni rischia di distruggere la Terra. La ricerca del massimo profitto, da beni che non appartengono agli imprenditori ma a tutti, è distruttiva. La privatizzazione e la mercificazione di questi beni è un percorso miope. Questo è uno degli aspetti del fallimento del mercato e del capitalismo.

I beni comuni stanno diventando sempre più scarsi e cruciali e non sono messi al centro dell’agenda economica e politica. Non è un caso che sia stata una donna, la prima donna a ricevere il premio Nobel per l’economia nel 2009, Elinor Ostrom, a rimetterli al centro della riflessione anche del pensiero economico. Gli esseri umani non cercano sempre la massimizzazione dei benefici immediati ma sono anche disponibili a cooperare per produrre benefici comuni a lungo termine. Quando le risorse naturali vengono gestite congiuntamente dai loro utenti, nel tempo vengono stabilite regole su come queste devono essere curate e utilizzate in un modo che sia economicamente ed ecologicamente sostenibile. Senza un’attenzione particolare alla dimensione relazionale dei beni comuni, beni mediati dai rapporti tra le persone, questi non si vedono. Senza una prospettiva che comprenda più generazioni e si spinga anche a quelle del futuro, trascendendo la generazione presente, i beni comuni letteralmente non vengono percepiti, poi non vengono compresi e infine periscono.

Il capitalismo vede individui distinti che non hanno la possibilità di vederli e finiscono inevitabilmente per distruggerli. Non si può rimanere a guardare gli speculatori che si appropriano dell’acqua, dell’aria, delle foreste, delle materie prime estratte dal sottosuolo, e così via, senza fare niente.

La tragedia dei beni comuni si profila anche come un tipico esempio del “dilemma del prigioniero”, un esempio famoso della teoria dei giochi. Due prigionieri vorrebbero uscire dalla prigione e gli viene proposto di collaborare con la giustizia tradendo l’altro prigioniero, in cambio di uno sconto di pena. Ognuno dei due non sa come si comporterà l’altro. La soluzione ottimale è che i due prigionieri non si denuncino a vicenda, ovvero una soluzione cooperativa. In realtà, ognuno di loro ragionando da solo, sceglie in maniera razionale ed egoistica, che avrebbe maggiore interesse a denunciare l’altro sperando che l’altro non faccia lo stesso. In realtà il risultato che si ottiene è il peggiore.

Di fronte ai beni comuni, non bastano le sanzioni dello stato né l’etica individuale, ci vorrebbe la collaborazione della società civile, ovvero di quel prezioso bene che esiste solo in certe società e che sta tra o stato e il mercato. Imprese sociali, cooperative, imprese di comunità, già rappresentano la forza di questo terzo settore, più sensibile e più eticamente responsabile nella gestione di numerosi beni comuni.

Il grande economista austriaco J. A. Shumpeter aveva parlato, nell’epoca d’oro del capitalismo, di “distruzione creatrice”, quello che abbiamo oggi è una “creazione distruggitrice”. Per tale ragione è necessario sviluppare in fretta una cultura del noi che si affianchi ed equilibri quella dell’io. Oggi abbiamo bisogno di cooperazione e non di competizione. Questa direzione non appare più una possibilità ma un’assoluta necessità.

 

Nessun Commento

Inserisci un commento