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Aspetti traumatologici specifici del ruolo di portiere nel calcio

Benessere / 141

Aspetti traumatologici specifici del ruolo di portiere nel calcio

di Giuseppe Mazzocco

 

   La prima preziosità dell’argomento è il tema specifico: a livello traumatologico, infatti, non vi è un’ampia letteratura a riguardo. Il secondo motivo, che rende “appetibile” il lavoro, è l’immediatezza espositiva delle tematiche messe in indice.

   Dopo una breve introduzione, l’Autore parte con l’illustrazione delle lesioni più comuni che, presentate con un “itinerario descrittivo” per capitoli, vengono aperte, alla conoscenza di chi legge, con un linguaggio semplice e con precisi riferimenti tecnici ai trattamenti più comuni di prevenzione traumatica e di rieducazione funzionale.

   I traumi che potrebbero essere “subiti” da un portiere di calcio vengono, sempre, presentati anche con note di patogenesi e, in base alla tipologia, con valutazioni neurologiche ed indirizzi clinici.

   Molte volte ne vengono riportati gli aspetti sintomatologici e le relative “diagnosi”; vi è, comunque, il “consiglio” per la più opportuna forma di prevenzione e, sempre, uno schema di riabilitazione e di trattamento relativo, consigliati da chi, come l’Autore, ha vissuto sulla propria pelle la “vita tra i pali”, riportandone le abituali ferite.

   Ogni aspetto traumatico trattato è supportato da chiari ricordi di anatomia, di fisiologia e da indicazioni terapeutiche rese molto chiare dai riferimenti iconografici (con foto “dimostrative” dei momenti riequilibranti), con le indicazioni per interventi di massaggio, di bendaggio, di chinesiologia rieducativa e di manipolazioni.

   I traumi più comuni, riferiti al portiere di calcio, sono quelli del capo (trauma cranico e fratture dell’arcata zigomatica e del corpo dello zigomo); vi sono, poi, le lesioni alla spalla (le acromio-clavicolari, le lussazioni gleno-omerali e la sindrome da impingement), quelle al gomito (contusione e borsite), al polso (le carpalgie) ed alla mano (fratture scafoidee, il pollice del portiere, le fratture dei metacarpi, le lussazioni interfalangee, le lesioni tendine e muscolari).

   Per tutte queste occasioni traumatiche sono indicati, prima in linea di massima e poi con informazioni più specifiche, i momenti “terapeutici” più opportuni.

   Alla stessa maniera vengono descritti e “trattati” i traumi del rachide, le lesioni dell’addome, quelle dell’anca, della coscia e del ginocchio, sempre come tecnopatie specifiche del portiere di calcio.

   Fra queste sono evidenziate le abrasioni: tipici “infortuni” di chi, per le gestualità del “parare”, deve “volare” fra i pali e cadere su terreni di gioco non sempre morbidi.

   Per tutte queste parti sviluppate, l’accento della dissertazione è sempre stato posto sul trattamento, con motivati richiami alla prevenzione, nelle sue svariate forme: chinesiologia, contenzione, rieducazione e massaggio.

   Le indicazioni dei vari modi di intervenire, per le diverse forme traumatiche prese in esame, sono sempre molto pertinenti e date con l’immediatezza tipica di chi ha “le mani in pasta” o, come nel caso in esame, di chi ha avuto “le mani nei guanti”.

   Le indicazioni più preziose sono quelle relative all’auso delle bende da taping, per interventi di contenzione (a scopo preventivo o correttivo) mirati per la funzionalità biomeccanica del poso e delle dita.

   Un ulteriore aspetto lo si evidenzia per il trattamento del pollice che, per la gestualità del portiere di calcio, è il dito più soggetto a subire eventi traumatici (si pensi, solo, alle estreme posizioni di apertura, nelle prese delle palle veloci e di quelle alte). Comunque, per tutte le altre dita sono indicati i “progetti” di bendaggio più convenienti, con molti tipi di fissaggio, che permettono la protezione degli angoli fisiologici, senza inibirne qualsiasi forma di gestualità. Sono taping molto precisi, delle costruzioni stabilizzanti per l’articolarità delle dita, nella assiomatica premessa della completa libertà di movimento.

   Un capitolo, molto significativo (breve, ma circostanziato), con un chiaro significato applicativo, è l’ultimo, dal titolo “Aspetti terapeutici dei cataplasmi di fango (argilla, terra argillosa, terra)”. È, sicuramente, un merito aver riproposto l’uso di una maniera “naturale” per realizzare un trattamento, in un mondo sportivo in cui la moderna farmacologia ha stilato lunghi elenchi di terapie ad azione chimica.

   Il tono descrittivo dell’opera in esame è quasi di un intervento per usare il “fai da te”; le sostanze indicate per i trattamenti sono di quelle reperibili facilmente ed a basso costo (terra, argilla, acqua ed estratti naturali di tipo vegetale); la preparazione dei prodotti e la loro applicazione sono istintive, anche perché sono maturate dalla stessa esperienza dall’Autore che ha fatto ricorso più volte a questi mezzi naturali e, riferisce, con buoni risultati.

   Il lavoro è stato scelto dalla Commissione giudicatrice del premio nazionale ANATRIPSIS per la chiarezza, la spontaneità descrittiva e per l’argomento poco usuale, trattato in maniera molto precisa e coerente.

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