Eligere o “ndo cojo cojo”?

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Il Dubbio / 142

Eligere o “ndo cojo cojo”?

di Enea Di Ianni

 

Non è stato mai facile, soprattutto per la gente comune, vivere con tranquillità i momenti elettorali nei paesi, in special modo durante le elezioni comunali, e ciò accadeva per diverse ragioni.

Anzitutto occorreva “scegliere”, il che, nei piccoli centri, voleva dire soppesare il parentado, le amicizie, le promesse di lavoro rischiando, quasi sempre e comunque si fosse scelto, d’esser  tacciato di tradimento dalle parti non votate. Ecco perché, il più delle volte, diversi elettori, di fronte a due liste contrapposte, ciasciuna con un “competitor” degno di stima, ricco di capacità e qualità e, soprattutto, meritevole di essere votato, finivano per vivere la  competizione con grande sofferenza.

Che fare? Quale dei due votare? Non era per niente facile deciderlo e lo sa bene chi, per non far torto a nessuno dei due, improvvisamente, rimaneva vittima di un “provvidenziale” attacco d’influenza, che durava giusto il tempo per evitare di recarsi al seggio elettorale e  di dover partecipare all’immancabile corteo della lista  vincitrice. C’è da aggiungere che allora ci si poteva tranquillamente ammalare perché la possibilità dell’espressione del voto a domicilio, per i malati, non era prevista!

Quando la presenza delle liste si faceva più numerosa – e ciò accadeva soprattutto per le elezioni di Deputati e Senatori – ricorrere alla malattia da weekend non aveva proprio alcun senso anche perché i candidati erano tanti e la possibilità di “individuare” il voto di un singolo elettore non era davvero cosa facile. In quelle competizioni, come accade oggi nel calcio, i partiti e i politici avevano la propria tifoseria, il proprio seguito,  una specie di  fedelissimi, caparbi e per nulla facili al cambio di bandiera. Dirò di più: all’interno di uno stesso partito poteva accadere, ed accadde, che ci fossero partigianerie per l’uno o per l’altro  candidato,

Ci furono un tempo nel nostro paese:  democristiani  e  ‘ democristiani’ ”[1], scrive Walter Marcone facendo riferimento al nostro Abruzzo.

E’ vero ed è storia, storia che tanti di noi conoscono e ricordano e che, in molti,  hanno vissuto personalmente. Due leader, due belle espressioni di democraticità e di amore per l’Abruzzo,  due brave persone che fecero del ventilato, ma non reale, loro antagonismo “…il volano della crescita della regione divenuta, grazie all’impegno dei due politici della Democrazia Cristiana, l’autentica cerniera tra nord e sud dell’Italia[2]

I due “demoscristiani” abruzzesi, antagonisti, hanno u

Lorenzo Natali a sinistra e Remo Gaspari

n nome ed un cognome: Lorenzo Natali e Remo Gaspari, e il loro dualismo ha fatto bene non solo alla DC, ma all’intero Abruzzo,  a quello interno e a quello costiero, che i due leader, intelligentemente, si erano preoccupati di tenere, separatamente, a cuore e sostenere. Due metà, una per ciascuno, e per loro voleva dire dividersi i campi e lavorarci bene affinché ne beneficiasse l’intero. Cioè la nostra regione, l’Abruzzo.

Cosa chiedevano  gli abruzzesi di allora?

Ai miei tempi, quando giravo per i comuni, la gente mi chiedeva il lavoro, non le aiuole. Ecco perché dovevo fare tremila, quattromila posti di lavoro all’anno sennò venivo assalito…” Così si esprimeva Remo Gaspari in una intervista di Paola Di Brino, registrata nel maggio del 2008.

Sembra lontanissimo quel 2008, davvero tanto lontano anche quel modo di intendere e svolgere il ruolo della politica. Gaspari e Natali “giravano per i comuni” per “ASCOLTARE”, dalla voce della gente (e “gente”  vuol dire “popolo” e popolo lo sono tutti: dai bimbiagli adulti,  ricchi e poveri,uomini e donne.

Quell’ “andare per comuni”  era una sana abitudine che si ripeteva anche successivamente ai momenti di “campagna elettorale”. Gli elettori di quelle stagioni, pur con i distinguo che sono d’obbligo, sapevano che “votare” non significava solo fare un segno su di un simbolo e scrivere nome e cognome di un candidato o di una candidata. Era anche questo, certo, ma soprattutto era sentirsi protagonisti in prima persona perché, in quell’occasione, ti confrontavi  non solo con un “nome” venuto fuori all’ultimo momento, ma con una “persona” di cui conoscevi un minimo di pregresso politico, condivisibile o meno, e sapevi che dopo l’evento elettorale, al di là del risultato, non sarebbe evaporato nel nulla.

Il voto era l’espressione di una scelta, si andava in cabina per scegliere, per “eligere”, come dicevano i latini.

In questi giorni, vigilia delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale d’Abruzzo, il fiorire di volti, ammiccanti e  sorridenti, da spaziosi manifesti a colori torna a sollecitarci come  cittadini ed elettori. Dobbiamo tornare alle urne e, perciò, fare una scelta, “eligere.

Tanti volti, alcuni noti, diversi nuovi. Tanti uomini, ma anche tante donne e, sia per gli uni che per le altre, il passaggio alla candidatura è accaduto così repentinamente che è legittimo chiedersi quando e come si è verificata la “vocatio” nel duplice senso di “chiamata e di “inclinazione”,  sentirsi portato. Dal numero delle presenze fiorite sembra proprio una “buona annata” come sono soliti dire i contadini. Una stagione ricca di nuove fioriture che fa piacere accogliere e, magari, coltivare anche dopo l’evento elettorale. Se qualche dubbio si accende non è dovuto a nient’altro se non alla costatazione che, anche in passate tornate elettorali (e non solo in competizioni regionali!), fiorirono candidature appassitesi, poi, subito dopo la proclamazione degli eletti. E’ palese che se quelle fioriture sono appassite la “vocazione al ruolo, forse, era pochina e la “chiamata” sapeva, allora, e sa anche oggi, di comodo.

Anziché “eligere”, proviamo ad andare alla cieca e, come dicono spesso i romani ’ndo cojjo cojjo? Non sarebbe serio e il voto rimane una cosa seria, una scelta ponderata proprio per dire basta al clientelismo, basta alla “politica mangereccia”, come la chiamava Remo Gaspari.  Scegliere a caso non è proprio il caso. Perché?

Perché come diceva Remo Gaspari:  “Non è possibile che chi fa politica lo fa perché non è capace di svolgere la professione. Questa è una cosa vergognosa.

[1] Walter Marcone, “L’Abruzzo di Gaspari e Natali: uno strano dualismo”, 20 Luglio 2021

[2] Andrea PANTALEO, “Corriere Peligno