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SCUOLA LIBRO APERTO?

Il Dubbio / 139

 SCUOLA LIBRO APERTO? 

di Enea Di Ianni

 

 Il mondo della scuola, una volta eccessivamente, forse, chiuso in se stesso, defilato in una sorta di aurea intangibilità, si è fatto, in questi ultimi tempi aperto e trasparente.

Non è accaduto da un giorno all’altro, ma è accaduto e quelle paretI scolastiche, troppo spesso impenetrabili per i non addetti ai lavori, si sono fatte trasparenti soprattutto per le famiglie degli alunni. Oggi, In tempo quasi reale, una manna o un papà possono appurare la valutazione conseguita dal figlio o dalla figlia solo pochi minuti dopo perché dotati del codice di accesso al “Registro elettronico”.

Se si pensa a quando il contenuto della pagella era secretato fino al termine del trimestre e la sua lettura, nella rigorosa intimità familiare, poteva costituire motivo di orgoglio condiviso per la positività delle votazioni o triste constatazione del perdurare dell’insuccesso scolastico  sembra davvero l’accadimento di un miracolo.

C’erano, è vero, gli incontri “scuola-famiglia”, approcci timidi di gente che, varcando il portone d’ingresso dell’edificio scolastico, senza volerlo si ritrovava intimorita al cospetto del “Signor Maestro” o della “Signora Maestra”, del Professore o della Professoressa.

Non chiedetemi se quel timore fosse giusto, esagerato o finto, non saprei che dirvi; so, però, che si trattava di atteggiamento che sapeva di rispetto vero e di fiducia autentica che i singoli genitori riponevano nella istituzione “Scuola” e nelle persone che la rappresentavano.

Anche il bidello, con tanto di divisa e berretto con visiera, diveniva, in quelle occasioni, non solo importante, ma anche rassicurante per il suo duplice ruolo di contemporanea vicinanza ai docenti ed ai singoli genitori.

Scuola e famiglia si incontravano per condividere uno stesso interesse: il successo formativo di un bimbo, di una ragazza, di un adolescente  che si ponevano in cammino per conquistarsi un’autonomia di vita.

Se il successo scarseggiava, l’incontro serviva per sperimentare e condividere una strategia, momenti di un percorso più calibrato, a misura di quel ragazzo o ragazza.

Accadeva, più o meno, la stessa cosa col medico di famiglia: per vincere la malattia necessitava, sì, l’arte medica ma, non di meno, si richiedevano attenzioni parallele da parte della famiglia. Insomma si vinceva o perdeva “insieme” e,  sempre “insieme”, si gioiva o ci si rammaricava.

I belli e i brutti voti c’erano anche allora e quando piovevano quelli brutti provocavano ansia, sgomento, incertezza sul futuro scolastico senza  poter contare sulla facilità di approccio colloquiale che contraddistingue, oggi, il rapporto docente-discente.

Allora perché un 5 potesse divenire 6 c’era un solo modo: aumentare l’impegno, lo studio e l’attenzione per poter prendere, alla successiva prova, scritta o orale, un bel 7 pieno. E già, perché sommando il 5 col 7 e, poi, dividendo per 2, si arrivava alla “media”: un bel 6 pieno.

Tutte le forme di valutazione hanno i pro e i contro: quella di un tempo aveva il privilegio che, rimanendo segreta fino al termine del trimestre, quando veniva formalizzata in pagella e, perciò, letta dai genitori, riportava solo la media, la tappa conclusiva e non quelle per arrivarvi. Alle famiglie giungeva  il 6, senza più le tracce del 5 e del 7.

C’è ancora dell’altro. Proprio la segretezza del voto portava la famiglia a rapportarsi fisicamente con la scuola con frequenza periodica e, nello stesso tempo, ad aver cura perché il proprio figlio o la propria figlia fossero messi nella condizione di impegnarsi in un certo modo e di essere giustamente “ambiziosi” mirando a “non accontentarsi”.

Lo studente di oggi non gode più del diritto alla privacy nel ”recupero” di una valutazione negativa o nel piacere gioioso di una positiva “escalation”.

Non ha nemmeno la possibilità di smaltire tra sé e sé  un brutto voto perché la libertà genitoriale di accesso al “Registro elettronico ha, ormai,  di fatto ridotto il bello della sorpresa, negativa o positiva che possa essere, nonché del sapore agro-dolce che si addice ai segreti.

Nessuno di noi può e dev’essere un libro aperto, nemmeno per i propri genitori. Chi ci è accanto, se vuole leggerci, deve viverci, provare a sfogliarci e avere interesse  a farlo  da sempre e non solo da un certo momento in poi… E quando lo fa, deve avere tanta accortezza evitando anche di inumidirsi le dita e usando, sempre, delicatezza di modi e gesti.

A ciascuno di noi piace ricevere attenzioni, ma attenzioni garbate e non spropositate, attenzioni capaci di tenerezza autentica, di carezze che, sfiorandoci, possano innamorarci e spingerci a ricercarne ancora di più, nella vita di ogni giorno.

L’educazione è indubbio che muova dalla centralità della persona e si fondi sulla relazione tra docente e discente; altrettanto indubbio è che essa debba coinvolgere non solo il “sapere” e il “saper fare”, ma anche e soprattutto l’ “unicità” delle persone e le loro emozioni. Sì, unicità ed emozioni di chi insegna e di chi apprende per cui nulla ha a che fare con l’ “ossessione da profitto” cui mirano, troppe volte, le famiglie.

Non è facile per gli educatori resistere e non è d’aiuto un registro elettronico che sintetizza gli argomenti trattati nella classe, annota i compiti assegnati e svolti, tiene puntualmente la contabilità dei ritardi delle assenze e riporta le valutazioni conseguite.  La famiglia troppe volte, di fronte a quel “libro aperto” sulle attività scolastiche, ricerca d’istinto una sola voce: il “voto”.

E quando non la soddisfa, non sempre si rivolge alla scuola. Preferisce, non badando a spese, adire altri percorsi che poco hanno a che fare con l’educativo. Che dire? Il fine giustifica i mezzi? In educazione non sempre!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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