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Grandi personaggi o personalità decisive?

 Il Limite 133

Grandi personaggi o personalità decisive?

“…ma mai, sino alla fine della sua vita, egli riuscì ad intendere né il bene, né la bellezza, né la verità, né il significato dei suoi atti, troppo contrari al bene e al vero, troppo lontani da ogni sentimento umano perché egli ne potesse intender il significato. Egli non poteva sconfessare i suoi atti, esaltati da mezzo mondo, e perciò doveva rinunziare al vero, al bene e a tutto quello che è umano”

L. Tolstoj su Napoleone in Guerra e pace

 

di Raniero Regni

 

 Erano in molti, ed io tra questi, che aspettavano di vedere il nuovo film di Ridley Scott Napoleon. Certo, cimentarsi con un personaggio storico che sembra sia il più biografato dopo Gesù, era un’impresa molto impegnativa. Tutti sapevano che sarebbe stato difficile eguagliare la forza epica ed archetipica de Il gladiatore ma, in ogni caso, ci si aspettava uno spettacolo comunque avvincente, soprattutto per gli amanti (quasi sempre uomini) delle scene di massa, generalmente combattimenti e battaglie. Così non è stato e il film è apparso piuttosto debole, senza la forza autorale di cui il regista poteva essere capace. Comunque però spettacolare, almeno per gli occhi.

Ma il film di Scott serve in questo caso solo a introdurre una riflessione sul potere maschile e i suoi limiti. Devo dire che non ho mai amato la figura di Napoleone e, come è stato scritto di recente da uno storico, mi chiedo se questo personaggio possa incarnare l’epos giusto per il XXI secolo. Non è uno dei miei eroi, come non lo è Cesare o qualsiasi altro capo militare che conduce migliaia di uomini in battaglia. Pur riconoscendo la dimensione del potere che M. Weber chiama “carismatica”, sono d’accordo piuttosto con l’interpretazione che ne dà Tolstoj in Guerra e pace, che mi sono andato a rileggere dopo aver visto il film. I grandi uomini, gli uomini che Hegel chiamava individui cosmico-storici (ricordo l’espressione del filosofo tedesco che vede Napoleone dopo la battaglia di Jena e scrive, “oggi ho visto lo Spirito Assoluto entrare a cavallo nella mia città”), sono spesso dei burattini legati dai fili potenti del destino. È evidente che i grandi uomini sono come marionette guidate dalla ragion storica, rotelle nell’ingranaggio della storia, mentre tutti gli altri personaggi del romanzo sono esseri umani veri e palpitanti. I primi fanno la guerra e gli altri cercano la pace.

Il film di Scott diventa però l’occasione per porre, un’altra serie di questioni. Da una parte il discorso sull’immaginario maschile. Ai ragazzi, agli uomini, ai maschi, a me, piacciono le scene di battaglia. Sì, perché anche se cresciuti non nel mito della guerra ma della pace, le scene di azione, i combattimenti, sicuramente attraggono gli uomini piuttosto che le donne. Non credo che c’entri molto la violenza ma qualcosa di più e di diverso. Forse c’entra il desiderio di essere in azione, una specie di potenza ottusa a cui i maschi sono stati addestrati da millenni. Andare alla carica, magari guidati da un capo carismatico ritenuto infallibile, e non sentire nient’altro, né paura, né odio, né amore, ma essere se stessi in quel gesto quasi cieco e, per molti versi, alienante. Spalla a spalla con altri compagni di lotta, solo verso i quali sentire empatia. Forse in passato è servito a difendere il gruppo umano e ad esprimere la superiore potenza muscolare maschile ed il coraggio, ma ora appare fuori luogo e senza alcuna utilità per la nostra sopravvivenza. Questo è un limite dell’immaginario maschile che dovrebbe essere invece indirizzato verso gesta davvero eroiche, di soccorso e di generosità verso l’umanità tutta, rappresentata soprattutto dalle creature più povere e più deboli. Il gesto che soccorre l’altro in difficoltà. Un’energia che andrebbe messa al servizio di grandi cause che riguardano oggi la salvezza della famiglia umana tutta intera e, al di là, dell’intera famiglia dei viventi, come la questione ambientale.

Un’altra riflessione è legata poi alla differenza posta dal filosofo K. Jaspers tra grandi personaggi storici, soprattutto capi, re, imperatori, e le figure carismatiche del calibro di Buddha, Confucio, Socrate o Gesù. Queste ultime Jaspers le chiama “personalità decisive”. Qual è la differenza?  I grandi personaggi, oltre ad avere capacità personali, sono in realtà frutto di circostanze storiche particolari, attraverso le quali un uomo qualunque può acquisire una potenza passeggera. “Ma, scrive Jaspers – un tale uomo non potrà mai esercitare un’efficacia spirituale piena e grande, né diventare qualcosa di veramente duraturo”. I grandi personaggi non sono che un caso particolare di un tipo storico diffuso al proprio tempo, sono le circostanze casuali che ad un certo punto ne determinano il successo momentaneo, prima della inevitabile caduta. Le personalità decisive sono invece fuori dalle circostanze, lanciano un messaggio di salvezza che travalica sia il momento storico che la tipologia umana presente al loro tempo. Propongono un’irruzione nell’universale che può alimentare la vita degli esseri umani, spingendoli a cambiare la loro esistenza, ad essere migliori di quello che sono. Il messaggio delle personalità decisive è capace di fondare intere civiltà e la loro grandezza non cessa mai di agire. La loro voce non ci dà pace, ci incalza, chiede una risposta, e ci parla ancora a distanza di millenni.

Mutate le forme, anche lo storico inglese I. Kershaw, in un’opera recente dedicata al tema de L’uomo forte, analizzando il rapporto tra personalità e potere in dodici leader e capi di governo del XX secolo, si domanda: sono i tempi a forgiare gli uomini o gli uomini a determinare i tempi in cui vivono?  È indubbio che questi personaggi hanno acquisito ed esercitato un potere, e quindi hanno cambiato il loro tempo (spesso in peggio), ma solo nel senso che, “al di fuori di tali particolari condizioni, essi non avrebbero inciso più di tanto nel corso della storia”.  Certo, “la leadership non è un elemento puramente incidentale nello sviluppo della storia”. Ma la conclusione di Kershaw è piuttosto sconsolata, “la grandezza è un concetto che è meglio mettere da parte nello studio della leadership politica”.   Eppure ci sono stati leader democratici che non hanno avuto un fascino straordinario ma hanno contribuito realmente al miglioramento delle condizioni dei loro contemporanei. Appare però condivisibile il monito dello studioso britannico, che invita alla modestia e alla misura: “la storia offre poche o nessuna ricetta già pronta per il futuro. Tuttavia essa ci suggerisce di tenerci a debita distanza da quelle personalità forti che, affermando di avere la panacea per i mali attuali, propongono miglioramenti politici radicali”.

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