HomeLa RivistaEducazione e AmbienteLA FINE DEL MONDO: vedendo Oppenheimer e rileggendo C. Lasch

LA FINE DEL MONDO: vedendo Oppenheimer e rileggendo C. Lasch

Il Limite / 126

LA FINE DEL MONDO: vedendo Oppenheimer e rileggendo C. Lasch

di Raniero Regni

 

Il grande pericolo di un discorso apocalittico risiede nel fatto  che il suo potere di persuadere è pari a quello di immobilizzare

 R. Falk

Chi ha visto il film di C. Nolan, Oppenheimer, sarà rimasto affascinato e scioccato dalla potenza spaventosa del messaggio che emerge da questo capolavoro. Qual è il suo fascino? Quello legato alla possibilità, che si è dischiusa per l’umanità con la prima bomba atomica, di distruggere il mondo. Oggi la bomba climatica, la bomba ecologica o quella demografica sono altre possibilità distruttive del pianeta. “Nell’era nucleare la sopravvivenza è diventata un problema di primaria importanza; ma i tentativi d’interessare l’opinion pubblica alle sue implicazioni collettive tendono a rafforzare l’apatia che vorrebbero sconfiggere”. Così scriveva più di quarant’anni fa C. Lasch dicendo che eravamo oramai entrati in un’età della sopravvivenza.

In genere non sono moltissimi i libri che vale la pena di rileggere. Non parlo dei classici che non invecchiano e che non hanno ancora finito di dire quello che hanno da dire. Parlo di testi di studio, saggi, magari dedicati all’analisi della società e della cultura di oggi. Pochi sopravvivono al passare degli anni e al mutamento imprevisto della situazione storica. Un libro che vale la pena di rileggere e che resta attuale l’ha scritto proprio C. Lasch, lo psico-sociologo e filosofo sociale statunitense che ha fatto della categoria del narcisismo, derivata dalla psicanalisi, una raffinata categoria per interpretare la cultura e la personalità delle società avanzate degli ultimi quarant’anni. Una sua opera che vale la pena rileggere è senz’altro L’io minimo. La mentalità della sopravvivenza in un’epoca di turbamenti. Si tratta di un testo uscito nel 1984 e che lessi nella traduzione italiana fatta l’anno successivo. Di Lasch avevo letto già La cultura del narcisismo e, prima ancora, Rifugio in un mondo senza cuore. La famiglia in stato d’assedio. Non a caso il mio maestro Fabrizio Ravaglioli, che me ne aveva consigliato lo studio, l’aveva incluso tra i tre classici della modernità, assieme a E. Gellner e a N. Luhmann.

Così scriveva Lasch, “il movimento per la pace e il movimento ecologista pongono l’accento sulla criminale indifferenza che la società riserva al problema dei bisogni delle generazioni future; ma, inavvertitamente, non fanno che riproporre la mentalità della sopravvivenza”. Le battaglie ambientaliste sono giuste ma il battersi per una mente globale o per una coscienza planetaria è un impegno che l’élite capisce mentre la parte più debole e meno istruita della popolazione non riesce ad intendere. Chi è alle prese con le difficoltà quotidiane e lotta per arrivare alla fine del mese potrebbe impegnarsi localmente per un miglioramento effettivo anche delle condizioni ambientali locali ma non per la salvezza del pianeta, che invece appare lontana e astratta. Lasch ci aiuta a capire perché non tutti oggi siano coinvolti nelle battaglie ambientali che, nel frattempo, si sono fatte più urgenti.

Una seconda osservazione appare di grande attualità. Il discorso ecologico si collega senz’altro al discorso femminile. La sensibilità femminile, che punta sul dialogo e la relazione, è molto più affine ad un discorso ambientalista che non quella maschile tesa alla conquista e al dominio. Ma la sensibilità di una cultura al femminile, molto auspicabile e necessaria oggi, non deve essere confusa con il desiderio di fusione simbiotica con la natura. Rispetto per la natura ma non adorazione mistica.

Una nuova cultura postindustriale decarbonizzata non può basarsi né su una tecnologia onnipotente che cerca di imporre un’impossibile autosufficienza umana, né su di una negazione della individualità umana che cerca di ripristinare l’illusione di una unità assoluta con la natura. Credo che avesse ragione Lasch quando concludeva la sua analisi scrivendo, “non saranno né Narciso né Prometeo a guidarci fuori della condizione in cui ci troviamo. Fratelli nell’intimo, essi ci condurranno soltanto un po’ più lontano su quella stessa strada di cui abbiamo già percorso un tratto fin troppo lungo”.

Che fare? L’azione politica, innanzitutto locale ma tenendo d’occhio anche mete globali, appare ancora come l’unica difesa valida contro il disastro.

 

Nessun Commento

Inserisci un commento