HomeLa RivistaILLUDERSI O SPERARE?

ILLUDERSI O SPERARE?

Il dubbio / 124
ILLUDERSI O SPERARE?

di Ena Di Ianni

Due detti mi ronzano per la testa, due detti che vengono dalla saggezza popolare, quella che appartiene ai più e non è esclusiva dei soliti big e celebrità del momento.

La saggezza popolare solitamente si fa sentire nei momenti topici della vita, appartiene più o meno  a tutti, anche alle persone semplici e, spesso, si presenta  bivalente, riesce, cioè, a bilanciare sia i facili entusiasmi che i cedimenti improvvisi, sia i voli pindarici che quelli rasoterra.

E’ una saggezza che viene da lontano, si respira tra la gente comune, nell’agire quotidiano e la si apprende giorno dopo giorno, vivendo.

Di fronte agli speranzosi, a quelli che non demordono dall’attendersi che, prima o poi, l’abbraccio della dea bendata dovrà esserci, si pone sempre qualcuno o qualcuna che azzarda il consiglio, non richiesto, di rimanere coi piedi per terra. Non è mai un messaggio gridato o richiesto, ma solo un parere timidamente bisbigliato, gratuito, quasi un intercalare infilato, al momento giusto, tra le pieghe del discorso e con tono che sa di provata esperienza: “Chi di speranze vive, disperato muore!

L’effetto è di una brutalità unica: taglia vigore alle illusioni, alle aspettative possibili e finisce con l’intristire un po’ tutti. Sì, perché tutti, nell’intimo e segretamente, si augurano di poter essere baciati, un giorno, dalla dea bendata, dalla fortuna, dalla buona sorte.

Dopo momenti di pesante silenzio, animato solo da non trattenuti sospiri liberatori, arriva quasi sempre una voce, altrettanto timida e bisbigliata, che, con “nonchalance”, rimescola le carte  e torna a ridare energia un po’ a tutti: “Spes ultima dea…” ovvero mai abbandonare la speranza.

Non perderla mai, la speranza, perché è la molla del vivere umano, ciò che rende possibile l’impossibile, che sostiene ogni nostro agire, che ci fa amare l’amore, anche quello impossibile. Sempre, nella semplicità della saggezza popolare, alla speranza si accompagnano le idee di felicità, di benessere, di tranquillità – se tutto va bene! – ovvero  di illusione se nulla di quanto sperato, accade.

L’illusione cos’è? Ciò in cui si spera?  Un fatto, un evento, un accadimento  nutrito, come desiderio,  nell’intimo e per il quale ci spendiamo, attiviamo, ci diamo da fare?

E lo è finché speriamo che si realizzi o accada? L’illusione è, dunque, anch’essa, al suo sorgere, una speranza? Una speranza non realizzata, non trasformatasi in “fatto” e rimasta solo tra i “desiderata”?

Benjamin Disraeli, politico e scrittore britannico, scriveva che “le delusioni dell’età matura seguono le illusioni  della gioventù” riconoscendo, alla gioventù, quel limite di esperienze che appartiene proprio a chi è fresco della vita e quell’esuberanza di credulità che è presente proprio in chi, carico di fiducia, conosce ancor poco del vivere e degli umani e si illude di saper conoscere e, con facilità, crede. Crede in se stesso, ma anche negli altri umani e nelle organizzazioni degli umani: nelle istituzioni, negli enti, nei servizi, in ciò che viene detto e promesso.

A Tivoli, dal 13 al 16 aprile 2023, si è tenuta la IX Conferenza nazionale delle persone sordo-cieche. Ho seguito l’esito dei lavori leggendo il n. 3 di “Trilli nell’azzurro”, il notiziario ufficiale della Lega del Filo d’oro, istituzione che, dall’anno 1964, cerca di dar voce a chi non vede e non sente.

Le prime impressioni, a caldo, sono proprio quelle che hanno il sapore di tante “illusioni” che, ancora, attendono di tradursi in “azioni”, di intenzioni e annunci che tardano a concretizzarsi in realizzioni.

Dal 2010, lo Stato riconosce la sordocecità come disabiità specifica…”

E’ senz’altro importante tale riconoscimento, ma dal 2010, “…senza un impegno economico conseguente, tredici anni dopo, quel bellissimo traguardo è rimasto lettera morta”.

Una speranza che si è trascinata per tredici anni acquistando il sapore di un’illusione, un’illusione che si colora di amaro quando tocca chi, nel proprio percorso di vita, ha assaporato l’isolamento, la dipendenza,  il silenzio, il non vedere, ma anche “il non essere visti”, come scrive Stefano Ciccarelli.

Ho una cecità totale  e sento grazie alle protesi acustiche…”.

Si è laureato in Giurisprudenza e continua a studiare per diventare giornalista. Si illude o, invece, spera e, impegnandosi, sogna?

Sì, magari sogna di raccontare a noi, ai cosiddetti vedenti e udenti, le cose che nessuno vede e sente?

Visti da lontano sembriamo piantine fragili che si reggono in piedi con difficoltà, e c’è una verità in questo. Eppure, da vicino siamo promesse.”

Illusione, quella di Stefano, di poter vivere la sua cultura e la sua libertà, scegliendo cosa fare nella vita per la quale si è andato preparando, lottando e assaporando i diversi momenti in cui si è andato realizzando come essere umano?

Illusione, quella di Stefano, di poter essere libero, con una precisa formazione, di poter scegliere per se stesso e per il proprio futuro?

A chi deve il suo grazie?

Sicuramente a tanti e diversi: alla sua famiglia, alla determinazione della sua mamma, agli operatori della Lega del Filo d’oro, ad Alberto, il “volontario di contatto” che lo affianca, ai bravi maestri che ha incontrato nella sua formazione. Forse lo deve anche all’essere nato a Castel Volturno (CE), in quella famiglia e in quel parentado, in quel consesso paesano… Ma, alla base di tutto, lo deve a se stesso che, malgrado tutto, si è speso ed esercitato nella speranza vivendo anche di illusioni “per non morire di realtà” (Emanuele Breda).

E’ anche vero che si sono dati da fare anche quanti lo hanno affiancato nei momenti della crescita e e della formazione rafforzandolo e sostenendolo nel sogno, nella speranza e nel “coltivare illusioni”.

Sì, anche nel coltivare illusioni se è vero, come scrive Adriano Piattoni, che chi è privo di illusioni “…è incapace di sognare e sperare”.

 

Nessun Commento

Inserisci un commento