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PAROLE, NUMERI, SILENZIO

Il Limite / 111

PAROLE, NUMERI, SILENZIO

di Raniero Regni

 Chi parla e scrive per mestiere , vive, in qualche maniera, di parole. Ed anche per questo dovrebbe costantemente arricchire il suo linguaggio, caricarlo di vita e di significato, cercare la parola giusta, l’espressione efficace. Anche perché il linguaggio si può ammalare. L’impersonalità, la superficialità, la banalizzazione, la chiacchiera, le mezze verità, le grossolane semplificazioni, l’uso ideologico teso a vincere più che a convincere, possono rendere difficile o impossibile la comunicazione.

L’uso che del linguaggio umano fanno i media, dagli slogan al marketing, testimonia di quanto siano potenti le parole e come possano essere manipolate. È stato detto che sono pietre, senz’altro sono un’arma che viene brandita nei dibattiti e nella sfera pubblica.

Dovremmo sempre ricordarci che siamo animali simbolici che abitano il linguaggio. Mammiferi verbalizzanti, creature fatte di parole, che danno senso al mondo. Come ha scritto il grande critico G. Steiner, “il linguaggio è il mistero che definisce l’uomo”. Le parole devono aprire mondi o tentare almeno di farlo. Ecco perché dovremmo sempre custodire la parola, averne cura, perché le parole sono custodi del senso. Dovremmo usare la parola contro le parole asservite e degradate. I poeti e gli scrittori più grandi sono i custodi della parola, curano la parola quando questa fallisce, si ammala e rischia di morire.

Ma oggi la parola deve affrontare un avversario temibile, che pure dovrebbe essere derivato dai simboli linguistici, che è il numero. Il linguaggio matematico domina oramai non solo all’interno della scienza ma anche all’interno delle scienze umane. Nella sociologia, nell’economia, nella psicologia, nell’antropologia, si cerca di misurare e definire tutto in rapporti numerici. Per non parlare poi dell’informatica che domina oramai le nostre vite, le cui basi sono quasi esclusivamente numeriche. Forse il colpo finale alla cultura umanistica lo daranno le Digital humanities, la fusione tra informatica e scienze umanistiche e l’intelligenza artificiale con tutto il suo potenziale disumano.

Il primato della parola sembra sopraffatto dai numeri. Questi sono precisi, privi di ambiguità e sfumature, sembrano possedere un’evidenza che nessuno può mettere in discussione. Vengono esibiti come fatti e si sa, i fatti, hanno la testa dura. Avere un numero è considerato sempre meglio di non avere nessun numero. Anche l’educazione, con i sui test e le sue verifiche ossessive, con il suo bisogno di misurare e quantificare, viene spesso ridotta ad aritmetica. Forse stiamo passando dal dominio della parola a quello del numero, stiamo abbandonando il descrittivo per il numerativo. Allora il divario tra il linguaggio del numero e quello delle parole si fa più grande. La scienza diventa intraducibile, incomprensibile, per i non scienziati. Ma con i numeri si può in realtà dimostrare quasi tutto, anch’essi possono essere manipolati e usati come strumenti di dominio e di disumanizzazione.

La parola, per conservare il suo potere, deve conoscere i suoi limiti e dialogare con il silenzio pensoso. Come è stato detto, il silenzio è l’altra ala della parola, che emerge dal silenzio e nel silenzio risuona. La parola deve conoscere i suoi limiti e rigenerarsi nel silenzio. Deve cercare di dire l’indicibile pur sapendo che c’è la musica, il gesto, la poesia, la preghiera, fratelli e sorelle del silenzio, che la superano e forse la fondano.

Vedendo crescere le mie tre figlie, in passato, mi ero sorpreso ad avere nostalgia della loro età precedente la lettura e la scrittura, quando, dopo l’esplosione delle prime parole, il loro linguaggio orale era straordinariamente creativo, non ancora disciplinato dall’alfabetizzazione. Mi capita ora con il mio secondo nipote di un anno e mezzo, di riflettere su quanto sia potente la comunicazione prelinguistica, non verbale, quella che viene prima della stessa oralità. Un bambino che ancora non parla è tutto teso alla comunicazione, con tutto il suo corpo e con tutto se stesso. È vero che spesso gli adulti parlano senza comunicare, mentre i bambini comunicano senza parlare. La potenza comunicativa che precede il linguaggio è straordinaria.

Come ha osservato uno dei più grandi studiosi delle relazioni infantili precoci, D. Stern, quando il bambino impara a parlare si inserisce un cuneo tra quello che lui vive e quello che verbalmente può dire con le parole. Nel bambino piccolo questa distinzione invece non esiste. Il linguaggio è una nuova forma di relazione, di unione e di essere insieme, ma anche un ostacolo dell’integrazione tra il sé e il sé con l’altro. Sì, sicuramente è la più grande conquista che il piccolo che sta crescendo può fare, ma imparare a parlare introduce un cuneo tra ciò che si dice e ciò che si pensa. Il bambino piccolo non sa e non può mentire. Ecco il fascino della sua comunicazione così sincera, che non inganna mai, che finisce nell’abbraccio senza riserve.

Non stupisce che abbiamo bisogno dell’arte per gettare un ponte tra il dicibile e l’indicibile. “Il fatto paradossale che il linguaggio sia in grado di evocare esperienze che trascendono le parole rappresenta forse il riconoscimento più alto che possa farsi al potere del linguaggio”.

 

 

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