HomeLa RivistaDELUSIONE, NOSTALGIA O CHE ALTRO?

DELUSIONE, NOSTALGIA O CHE ALTRO?

Il Dubbio / 109

 

 DELUSIONE, NOSTALGIA O CHE ALTRO?

di Enea Di Ianni

 

La pioggia incessante di un “maggio” insolito, gli sbalzi repentini di temperatura che si succedono col calar della notte, l’aspettativa, delusa, di una primavera foriera di colori e profumi capaci di riappacificarci con la natura e con noi stessi, con la voglia di fare le solite  cose che si fanno ad ogni risveglio di stagione, hanno senz’altro contribuito ad aumentare, almeno per me, una strana rassegnazione. Poi gli eventi recenti di Romagna: case distrutte e danneggiate, auto trascinate via dall’acqua, cittadini impauriti e travolti dalle piogge. Colpevole il cambiamento climatico? Forse, anzi “anche” il cambiamento climatico, ma non solo.

Dare la colpa solo al cambiamento climatico è un modo per non volerci prendere la responsabilità di quanto sta accadendo. Questi fenomeni derivano da una combinazione di eventi, e il cambiamento climatico amplifica le conseguenze dei dissesti di un territorio molto fragile. Senza dimenticare gli errori legati a una gestione non attenta del territorio stesso, dalla insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua all’eccessivo consumo di suolo“. E’ quanto afferma Francesca Giordano, ricercatrice dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), all’agenzia AGI. Le piogge  quindi c’entrano con quanto va accadendo in questi giorni, ma sono soltanto uno dei fattori che hanno scatenato quell’inferno. L’azione dell’uomo sul suo habitat ha trascurato la manutenzione, la cura, costante e continua, nello svolgere quelle operazioni necessarie per mantenere  nella dovuta efficienza  funzionale i corsi d’acqua. Non solo,  ma l’uomo ha anche “abusato” nel consumo di territorio occupando, per fini diversi, superfici originariamente agricole, naturali o seminaturali.

E’ un grosso problema la manutenzione, che richiede oculatezza vigile e continua, che non concede pause e sviste e, neppure, la si può omettere o farla così così perché non riguarda solo, come “cura”, i luoghi fisici.  “Curando” quei luoghi, quegli ambienti, quegli habitat, si  curano e tutelano anche l’uomo e gli altri esseri viventi. Aver cura significa tenere a mente, non dimenticare e, ancor più, non sottovalutare gli accadimenti.

Di eventi catastrofici ne ricordiamo diversi, un po’ troppi, e per ognuno dicemmo a noi stessi che ci saremmo impegnati, tutti e singolarmente, per quanto di competenza, affiche si modificassero certe “leggerezze” comportamentali, certe abitudini non rispettose dell’ambiente e della sua tutela. Si sono fatte campagne su campagne di sensibilizzazione, abbiamo coinvolto anche i più piccini con le diverse iniziative di educazione ambientale in ambito scolastico riuscendo a interessare e impegnare insegnanti e studenti e, a toccare, anche le famiglie dei più piccini. Il problema si colloca un po’ più in là, nel mondo degli adulti, di quelli che dovrebbero dar corpo e gambe alle idee dei giovanissimi o, perlomeno e per quanto possibile, non contraddirle con i fatti.

Ricordo una “Festa degli alberi” a scuola, negli anni 80. Il fermento degli alunni lo si coglieva dallo sguardo: ognuno avrebbe collocato a dimora una piantina col nome dell’alunno e questi avrebbe seguito, nel tempo, la sua crescita prendendosene cura personalmente. Cerimonia corale, sentita dal mondo scolastico e dalle famiglie e sottolineata, come di dovere, dalle autorità locali, civili e religiose.

Gli alunni delle scuole elementari tennero fede all’impegno per più di un anno, fino a quando il luogo della messa a dimora non divenne “cantiere” per lavori di sistemazione dell’area, lavori avviati nel mese di giugno dell’anno scolastico successivo e ultimati ad autunno inoltrato.

L’area si presentò allo sguardo di tutti davvero migliorata, curata e accogliente; peccato non ci fosse più traccia alcuna delle piantine allocate dagli alunni un anno e mezzo prima. Qualcuno lo definì “spiacevole incidente di percorso…”  ma  quel percorso aveva brutalizzato le aspettative di un’intera scolaresca.  Mi è di sollievo ricordare, orgogliosamente, che gli alunni delle scuole elementari del mio paese, Villalago, già negli anni 50-60, avevano avuto l’opportunità di dar vita alla cosiddetta “Festa degli alberi” procedendo ad una delle prime piantumazioni di alberelli nella zona sovrastante lago Pio. Senza i clamori del piccolo schermo e ignorati dalla cronaca delle testate giornalistiche locali, gli alunni di quella scuola allocarono un centinaio di piantine coadiuvati dagli operai del “Cantiere di rimboschimento” e sotto lo sguardo, attento e soddisfatto, di “Nicola”, la guardia campestre comunale di allora. Nessuno osò fare violenza a quelle piantine, tant’è che oggi sono lì a testimoniare il rispetto avuto nel tempo ed anche a sostenere quel terreno evitando smottamenti di sorta. Mentre ne scrivo, provo nostalgia per quegli accadimenti, per quei luoghi, per quelle persone; per Nicola, la “Guardia campestre”, la nostalgia si colora di tenerezza ricordando quanta cura egli nutrisse per quegli alberelli. D’estate, armato di secchio e tantissima buona volontà, provvedeva ad innaffiarli uno ad uno. Vuotato il secchio, restava un momento assorto, in silenzio, quasi a cogliere il respiro della pianta e, magari, un messaggio. Non c’erano, allora, cisterne e neppure operai comunali, ma, seppure ci fossero stati, dubito che Nicola si sarebbe fidato. “Le piante parlano”, era solito dirci, “ma non con tutti, solo con chi le ama!”

Provo nostalgia di quella sua onestà d’animo e di vita, di quella coerenza di uomo semplice, ma autentico. E’ la nostalgia, forse, “di una strada, di un amico, di un bar, di un paese che sogna e che sbaglia…”, ma che, poi, è capace di rimboccarsi le maniche nel “fare”, nel fare davvero, con convinzione e onestà di impegno. E allora da dove cominciare?

Non ho dubbi: cominciare da loro, dai più piccoli, dagli scolaretti che, quando gli parli col cuore, non solo sanno ascoltarti, ma ti capiscono davvero e sono pronti a “fare” insieme a te. E sì… E’ tempo e stagione che si rimettano insieme pensiero e azione, dire e fare, idee ed esempi e non solo per evitare  “dissesti” territoriali o di altra natura,  ma soprattutto per dare certezza ai più piccoli che gli adulti non sono quelli che dicono e non fanno, ma quelli che fanno quel che dicono.

Non è facile, ne convengo, ma non si può continuare a barare con i più piccoli .  “I bimbi ci guardano” davvero e, guardandoci, provano a somigliarci imitandoci. Nel bene e nel male.

Nessun Commento

Inserisci un commento