
Il Limite / 108
I ceri di Gubbio, sono un sentimento
di Raniero Regni
Questa settimana, nella mia rubrica, rinuncio a parlare delle tematiche ambientali che la caratterizzano per parlare invece della Festa dei Ceri che si è svolta a Gubbio, la mia città, come sempre, il 15 maggio. Si tratta di una festa particolare che trasforma una città in un popolo che partecipa in maniera corale, senza distinzione tra spettatori e attori. Una festa che la storia ha conservato e le cui radici affondano in un passato antico, se non arcaico, che ancora l’alimenta e la protegge dalla spettacolarizzazione e dallo sfruttamento turistico. I Ceri, tra l’altro, sono da cinquant’anni il simbolo che compare nello stemma dell’Umbria. Però, anche se si parla d’altro, la tematica ambientale è oggi così pervasiva ed inquietante che è presente dappertutto e ricompre anche dove meno te l’aspetti. Quello che segue è un testo più o meno identico a quello pubblicato su di un periodico locale che esce una volta all’anno proprio in occasione della Festa.
“È accaduto di nuovo. Dopo la pandemia, che ha privato noi tutti, ma soprattutto i giovani, di due anni di Festa, per loro una perdita incolmabile. Ho visto S. Ubaldo, perfettamente verticale, avanzare tra i pini. Solo. Bellissimo. Seguito poi dagli altri due Ceri. Questo mi ero appuntato per un articolo che non ho scritto lo scorso anno. Ora accadrà di nuovo.
I Ceri sono belli. La bellezza come vero baluardo contro il nulla. La bontà come sola diga contro l’insensatezza dell’esistenza. La gentilezza come antidoto ad ogni egoismo. La vita non comincia con il dovere ma con l’amore. La vita non è statica ma estatica, non procede per obbligo, ma per forza di attrazione. Anche se poi trova il suo compimento nella bontà e nella fede.