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UNIRE I PUNTINI. PER UNA GOVERNANCE BIOREGIONALE

Il Limite / 100

Unire i puntini. Per una governance bioregionale

di Raniero Regni

 Perché gli italiani, come molti altri popoli che hanno la fortuna di vivere in regimi democratici, non vanno a votare? Questo interrogativo inquietante occupa gli studiosi delle democrazie mature di mezzo mondo e preoccupa tutti i cittadini più attenti. Molte sono le risposte e le analisi che parlano di una vera e propria crisi della rappresentanza democratica. I cittadini sentono che il loro essere chiamati al voto ogni quattro o cinque anni per eleggere un loro rappresentante, che spesso non hanno scelto, che poi si dimenticherà di loro, appare sempre più come un vuoto rituale. C’è una defezione degli elettori ma c’è anche qualcosa di più, un non sentirsi rappresentati in una divaricazione insanabile tra il governo nazionale e quello locale.
Questa è la cattiva notizia delle democrazie, perché se ogni cittadino che rinuncia ad esercitare il suo diritto di voto, preso singolarmente appare ininfluente su di un corpo elettorale di decine di milioni di votanti, l’effetto aggregato è devastante. C’è però anche una buona notizia, esistono, al contrario, infinite associazioni della società civile che si stanno impegnando in Italia e all’estero per produrre conoscenza e per prendersi cura dei territori dove vivono.
Secondo l’economista J. Rifkin, si tratta di uno spostamento epocale del modo di governare in cui ogni cittadino diventa parte essenziale del processo stesso di governo, attraverso pianificazione partecipativa. Nel 2019, negli USA si contavano un milione e mezzo di organizzazioni no profit impegnate nella salvaguardia dell’ambiente e della società civile. Egli parla di una “paricrazia” capace di compensare i difetti della democrazia rappresentativa. Una governance comunitaria, che fa leva sul senso di appartenenza e di fedeltà delle popolazioni che dipendono dal benessere ambientale della propria ecoregione. Chi vive la vita sul posto, come vuole anche il principio di sussidiarietà, è il primo soggetto e il più interessato alla soluzione dei problemi. Le esternalità negative degli impianti industriali, il conto entropico di industrie altamente inquinanti è diventato insopportabile.
“Una generazione più giovane – sostiene Rifkin – comincia a pensare di temperare la democrazia rappresentativa, con tutti i suoi successi, le sue speranze deluse e i suoi difetti con una forma di impegno politico più ampia, più inclusiva e orizzontale, che concepisca le comunità come parte degli ecosistemi, dei biomi e delle sfere planetarie con cui siamo intimamente connessi”.
Si tratta di un riallineamento delle giurisdizioni di governo: bio-regioni, eco-distretti, economia e società. Si tratta però anche di un più profondo cambiamento che va dalla produttività alla rigeneratività, dall’esternalità alla circolarità, dalla proprietà all’accesso, dai beni privati-pubblici ai beni comuni, dal PIL al IQV (indice della qualità della vita).
Non so quante siano le associazioni e i comitati di cittadini che in tutta Italia sono impegnati in battaglie ambientali ma credo che siano migliaia. Credo anche che sia venuto il momento di cambiare loro il nome. Da comitati di difesa ad avanguardie di una rinascita politica. Se noi riuscissimo a collegare tutti puntini, come quelli che appaiono nella Mappa delle criticità ambientali in Umbria (la cartina attiva con il relativo sito che accompagna questo articolo), credo che emergerebbe la fisionomia di una nuova figura politica, una nuova governance delle bioregioni italiane che è già in atto. Capace davvero non solo di gestire il presente, come fanno con scarsi risultati comuni e regioni, ma capace di produrre il futuro.

https://goo.gl/maps/d2CwfwAYpHwzxDMM9

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