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L’informazione/conoscenza come bene comune: inquinamento della biosfera e inquinamento della infosfera?

Il Limite / 97 

 L’informazione/conoscenza come bene comune: inquinamento della biosfera e inquinamento della infosfera?

di Raniero Regni 

 La nostra è stata spesso definita come l’era dell’informazione oppure della conoscenza. I due termini non sono affatto sinonimi, l’informazione è il “sapere che cosa”, mentre la conoscenza è il “sapere perché”. La prima è fatta di notizie, la seconda di spiegazioni e interpretazioni che collegano le notizie. Che sia scoppiata la guerra è la notizia, perché sia scoppiata, quali le cause e le conseguenze, è la conoscenza. La mente non elabora solo informazioni ma costruisce significati, attribuisce un senso invece di effettuare solo calcoli.  Solo il culto dell’informazione può credere che è la disponibilità di informazioni a creare le idee. Un grande studioso della cultura, lo statunitense T. Roszak, ha notato che “non è l’informazione a creare le idee, ma sono le idee a creare l’informazione”.

Ma, nonostante questa indispensabile premessa, le informazioni, la loro libera circolazione, la possibilità del loro reperimento e della loro accessibilità, la loro verificabilità, il loro uso, rappresentano un vero e proprio bene comune. Uno di quei beni come l’aria e l’acqua, come l’ambiente e la biosfera, ma anche il web, che sono di tutti e di ognuno. Anche l’ambiente dell’informazione, come lo chiamava N. Postman, il grande allievo del padre della riflessione sugli strumenti del comunicare M. McLuhan, è un ambiente nel quale viviamo immersi tanto quanto viviamo nell’ambiente naturale. Oggi tanto la bio-sfera, quanto la info-sfera sono minacciati dall’inquinamento.

È vero che ci sono moltissime fonti di informazione, moltissimi canali che veicolano ovunque l’informazione. Viviamo infatti nell’età dei mass media. Quelli vecchi, come il libro e il giornale, e quelli nuovi, come il web e i social.  Ovunque possiamo accedere a fonti quasi illimitate di conoscenza. Ma questo solo se sappiamo che cosa cerchiamo e se, soprattutto, sappiamo selezionare e organizzare le informazioni per produrre conoscenza.

Oggi il problema è proprio questo. Esistono infatti diversi modi di esercitare la censura. Il primo, quello più antico e brutale, è non di non dire la verità. Un secondo modo, più diffuso oggi, è quello di dirne troppa. Troppa informazione mette in condizione chi la riceve di non poterla gestire e allora lo può gettare nell’indifferenza. Un altro è quello di diffondere delle semi-conoscenze, delle semiverità, o delle fakenews, conoscenze e slogan che sono false ma che hanno tutta l’apparenza delle verità.

Uno delle più terribili affermazioni sull’uso dei media e della censura delle informazioni l’ha formulata il ministro della propaganda nazista, Goebells, “una menzogna ripetuta più volte diventa una verità”. E anche oggi se ne può fare spesso esperienza. Chi, come il sottoscritto, si è trovato impegnato in una battaglia ambientale nella sua città, ha sperimentato sulla sua pelle, le diverse forme di censura e di uso distorto delle informazioni. I due gruppi industriali cementieri presenti nella sua città, Gubbio, possiedono anche il giornale locale, Il giornale dell’Umbria, e la radio locale, Tele Radio Gubbio, in più finanziano una specie di giornaletto che finisce nella cassetta delle lettere di tutti i cittadini ogni quindici giorni. Come pensate che si siano comportati questi mezzi nei confronti dei comitati cittadini che vogliono più controlli affidabili, più chiarezza sulle emissioni delle ciminiere di due impianti che hanno iniziato a bruciare centomila tonnellate di rifiuti, mentre nello scorso mezzo secolo hanno compromesso le matrici ambientali?

In barba ad ogni correttezza deontologica, ad ogni serio approfondimento scientifico, i media citati hanno dato vita ad una campagna di disinformazione unilaterale, silenziando completamente ogni forma di dissenso e di opinione divergente, facendolo passare come una forma di estremismo ambientalista.

Chi scrive si è scontrato contro il silenzio, la falsa informazione, l’informazione unilaterale senza contraddittorio, la menzogna ripetuta che diventa senso comune. L’impressione è stata quella di un cittadino che grida in una camera insonorizzata senza che gli altri possano sentire la sua voce. Mentre i comitati ambientali facevano convegni e chiamavano esperti e scienziati per approfondire e produrre conoscenza, le testate locali intervistavano solo dipendenti delle due imprese, portandoli come massimi esperti della questione CSS nelle cementerie. In barba ad ogni ovvio conflitto di interessi.

Per fortuna che esistono altre testate, come la rivista mensile L’altrapagina (vedi il sito www.altrapagina.it), che possono rappresentare una fonte di informazione diversa e più corretta, che ricerca e studia senza conflitti d’interesse di nessun genere, né politico né economico. Nel suo inserto intitolato Ecosistema del mese di febbraio, che approfondisce in ogni numero le tematiche ambientali, ha trovato e troverà spazio la questione eugubina di due industrie insalubri che vogliono dettare legge anche nell’ambito dell’informazione. La libera informazione è un prezioso bene comune che la nostra civiltà ha prodotto e che rappresenta ai nostri giorni anche un bene raro. Il libero dibattito, la libera espressione delle idee sui diversi media sono pilastri fondamentali della democrazia. Un regime politico basato sul fondamentale principio: conoscere per deliberare.

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