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La fine del nostro viaggio in Africa

Letteratura / 91

La fine del nostro viaggio in Africa

di Giuseppe Mazzocco

 

   La strada attraversa una piana con tanti baobab, quasi una foresta di questi giganti del regno vegetale che, con i loro rami spogli, sembrano innalzare al cielo un flebile lamento di disperazione. Mi fanno venire in mente la sofferenza dei pachidermi morenti che, sollevando il bianco e consumato avorio delle vecchie zanne, esprimono il lamento della morte.

   Il baobab spoglio è come l’elefante che muore. Sarà per il fatto che ci hanno detto che il Burkina Faso è molto povero o sarà perché noi europei siamo abituati ad associare la povertà alla sofferenza, ma lungo la strada anche i brulli cespugli esprimono tristezza. Non solo i giganteschi baobab, ma anche i nani alberelli trasmettono una sensazione di tormento.

   Continuiamo a viaggiare sotto un sole molto caldo, immersi in una luce talmente viva che neanche le scure lenti dei nostri occhiali riescono a mitigare.

   Attraversiamo villaggi sempre animati da coloratissimi e frequentati mercati, mentre cambia l’“urbanizzazione” delle capanne: sono messe in cerchio ed unite da muretti di terra. Quasi una primordiale forma di organizzazione sociale in piccoli gruppi, con un primitivo motivo di difesa.

   Numerosi termitai punteggiano questa parte della “brousse”, zona così chiamata per la presenza degli innumerevoli cespugli. Attraversiamo una zona che è stata scheletrita dal fuoco. In Africa il fuoco è una piaga sempre accesa. Gli alberi bruciati ed anneriti dal fumo rendono pesante il senso di desolazione che già aleggia su tutta la zona. Solo la presenza di sparuti grandi alberi, dalle chiome ancora verdi, realizza l’idea di una falsa opulenza che contrasta nettamente con tutto il resto.

   Siamo a corto di carburante e riduciamo la velocità per economizzare.

   Dopo poco, per fortuna, incontriamo una pompa di gasolio.

   Facciamo una piccola sosta sotto un “albero del dentifricio”: chiamo, così, questa pianta, perché gli abitanti del posto ricavano, dai grandi rami, dei bastoncini con i quali si puliscono i denti! Sotto la pianta, vi sono dei cartelli, scritti in francese, che invitano a comperare il miele di Gourma, zona famosa per una grande riserva di elefanti africani. Gourma, che in lingua locale significa “la riva destra del fiume Niger”, ci ricorda, dai nostri piani di viaggio, che non siamo molto lontani dal confine con il Benin e, quindi, con la meta del nostro viaggio.

   Alle ore 16.30, dopo 380 km, iniziamo l’ennesima trafila dell’ultima frontiera fra il Burkina Faso ed il Benin.

   I bambini, “accessori” tipici di ogni posto di blocco, sono meno petulanti, non ti toccano e ti tendono la mano, sorridenti. Davanti all’ultimo “spago”, prima del confine di stato, la nostra guida esce dall’auto, per andare verso le capanne dei soldati addetti al controllo, con il braccio alzato e la mano distesa in senso di saluto e non l’abbassa fino a quando, a distanza giusta, non stringe la mano tesa del militare. Con tutti i posti di blocco superati, ha sperimentato ed automatizzato un fine alfabeto di gestualità sociale che predispone amichevolmente all’incontro, mentre pronuncia, a ripetizione, una nenia di “ça va?” … “Ҁa va?” … “Ҁa va?” … Ormai, il nostro capo viaggio ha inserito il pilota automatico. Il sapere che la meta è quasi a portata di mano è l’unica forza che lo sorregge. Fatto il confine, mancano 50 km all’arrivo!

   Alle 18, dopo 403 km transitiamo per quello che ci dicono essere l’ultimo controllo. La notizia si rivela, subito, falsa perché dopo 200 metri vi è una sbarra, e non il solito spago, che impone la fermata. Fatta questa sosta, continuiamo a viaggiare nella rossa polvere che si solleva dalla “tole ondulée”: la caratteristica strada in terra battuta, fatta da un fondo così “rugoso” e plissettato che, correndoci sopra, quando si parla sembra che si facciano dei vocalizzi. Il divertimento è nel pronunciare, di seguito, una sola vocale e sentirla uscire dalla gola in modo gorgheggiante.

   La savana, con i colori accesi dal sole del tramonto, offre uno spettacolo molto bello: basse piante verdi punteggiano un sottobosco di color nocciola, da cui si innalzano palme ed alberi a fusto lungo. Superiamo stretti ponti in ferro. Sui cigli, si snodano lunghe file di bambini che, probabilmente, tornano da scuola alle loro capanne. Sono festosi e ci salutano con grandi cenni delle mani. Passiamo vicino a piccoli villaggi, che già preparano i fuochi per la sera.

   In lontananza, il profilo di tanti alberi e di bianche costruzioni: siamo arrivati, alle ore 19, dopo aver percorso, da Milano, oltre 6.000 km!

   “Soiyez le bienvenu!”, è il confortante “ciao” del portiere.

   “Ben arrivati”, è l’abbraccio dei frati. “Sedete e riposate”, è il saluto delle suore!

   Ben trovati, amici. Vi ringraziamo di essere qui, e non solo perché ci rifocillate e ci ospitate. La sofferenza, con la quale combattete quotidianamente, ha ingigantito la vostra umanità, che traspare dai vostri sorrisi.

   Questo che fate in Africa ci fa sentir bene! Il nostro viaggio finisce fra le vostre braccia!

   Grazie.

 

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