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Il presente come storia. Note a margine del Festival del Medioevo.

Il Limite / 76

di Raniero Regni 

“Poiché il passato non rischiara più l’avvenire, lo spirito avanza nelle tenebre”

A. de Tocqueville

Gubbio, quella che i cartelli stradali salutano per chi vi arriva come “la più bella città medievale”, era ovvio che prima o poi ospitasse un Festival del Medioevo. E questo accade oramai da sette anni, a settembre la città umbra accoglie i più grandi studiosi italiani e stranieri che si occupano dell’Età di mezzo. Chi, come il sottoscritto, cerca di frequentarlo il più possibile, vive la strana esperienza di immergersi per diversi giorni nelle conferenze che parlano di un tempo lontano, analizzato in tutti i suoi vari aspetti e personaggi. È un’esperienza estraniante come quando, da ragazzi e in un mondo non così saturo di immagini come quello attuale, si andava al cinema e quando si usciva si era ancora immersi nell’atmosfera del film. Sentire parlare per giorni dell’eugubino Federico da Montefeltro, a cui è stato dedicato un ampio spazio in occasione degli 800 anni dalla nascita (1422), fa venir nostalgia del passato: un capitano di ventura astuto e spregiudicato, ricco e potente, ma anche un raffinato umanista, allievo di Vittorino da Feltre e promotore dell’Umanesimo, è personaggio diverso dai pur ricchissimi imprenditori nostrani!

Essere catapultati in un’immersione totale nel passato fa sì che, quando si rientra nel presente, si prova quasi uno choc. È vero, che può trattarsi anche di una forma alienante, come sostiene da tempo il critico G. Fofi, secondo il quale questa moda dei vari festival, della filosofia, della letteratura, della poesia ecc., che sono un’esclusiva quasi solo del nostro paese, frequentati soprattutto da insegnanti molti dei quali già in pensione, rappresentano una forma paradossale di “oppio della cultura”, una forma di erudizione che non produce né pensiero nè azione, ma quasi solo alienazione. Eppure, il confronto con il passato è sempre molto istruttivo.

…condividiamo con il Medioevo le paure, la sensazione della fine del mondo, anche se per il primo era il compimento di una profezia religiosa e per noi la fine del mondo si prospetta come insensata catastrofe ecologica o come suicidio sotto forma di guerra atomica

Non perché la storia sia maestra di vita come pensavano gli antichi e fino alle soglie dell’età moderna. Infatti, secondo il grande storico delle idee R. Koselleck, il nostro tempo è così diverso dal passato, l’orizzonte delle aspettative future così sempre nuovo e aperto, che lo spazio delle esperienze passate, accumulate dagli esseri umani sino ad ora, sembra di scarso aiuto. Uno iato tra memoria e speranza? Ma fino a quando? Oggi forse, con la crisi dell’idea di progresso, potremmo recuperare l’idea che tanto maggiore è l’esperienza che di questo abbiamo fatto tanto maggiore deve essere la prudenza. Allora la storia può tornare ad insegnarci qualcosa, ovvero il ripetersi di strutture durevoli che non possono e non devono cambiare, che devono essere difese, come quella di un saggio equilibrio con la natura.

Ecco allora che un tempo lontano come il Medioevo può presentare molte analogie con il nostro tempo. Intanto età di mezzo è una paradossale anti-definizione, simile a quella di età post moderna. Un tempo che sta in mezzo, tra il passato antico e il futuro moderno: sì, ma che tempo è? Così il nostro tempo è ciò che viene dopo la modernità: sì, ma che vuol dire? Allora noi dove siamo e chi siamo? Poi, condividiamo con il Medioevo le paure, la sensazione della fine del mondo, anche se per il primo era il compimento di una profezia religiosa e per noi la fine del mondo si prospetta come insensata catastrofe ecologica o come suicidio sottoforma di guerra atomica. I medievali ignoravano l’idea di progresso e anche noi oggi abbiamo finito di crederci, costatando la collisione tra il progresso, che comporta saggezza e limite, e il folle sviluppo illimitato che ci espone al rischio estremo.

Ma allora a che serve la storia? Forse aveva ragione il mio maestro F. Ravaglioli, quando diceva che il più grade insegnamento della storia è che ci si piò aspettare di tutto (e non è un caso che l’ultimo suo scritto si intitolasse proprio Duraturo Medioevo). Eppure lo studio della storia ci può aiutare a pensare il presente come storia. Noi siamo il futuro delle società passate e siamo il passato delle generazioni future. Tra trenta o quarant’anni come parleranno di noi, che diranno dell’Europa e di Putin, dell’America e della Cina? Che cosa penseranno di noi i posteri? Forse ci accuseranno di incoscienza per aver superato i limiti e non aver compreso i segni dei tempi? Di essere stati ciechi e non aver visto i disastri ambientali, che pure ci colpivano da vicino come la recente alluvione nelle Marche, che ha distrutto anche Cantiano, un bel borgo medievale confinante con Gubbio e fondata, proprio nel Medioevo, dagli eugubini stessi?

Se è vero che ogni storia è sempre storia contemporanea, si studia cioè il passato con le domande del presente, quando però il presente è così nuovo e il futuro così incerto, da sottrarsi ad ogni ordine naturale e sacro, e diventa solo umano e immanente, allora la funzione educativa del passato sembra perdere ogni valore.  E forse aveva ragione il vecchio Hegel, che su queste cose aveva ragionato molto, quando scriveva “ciò che insegnano l’esperienza e la storia è che i popoli e i governi non hanno imparato qualcosa dalla storia e non hanno mai agito secondo gli insegnamenti che ne avrebbero dovuto trarre”.

 

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