HomeAmbienteTRANSIZIONE: NON LA FINE DEL VECCHIO MA L’INIZIO DEL NUOVO

TRANSIZIONE: NON LA FINE DEL VECCHIO MA L’INIZIO DEL NUOVO

Il Limite / 46

di Raniero Regni

….I tempi che stiamo vivendo richiedono coraggio, saggezza, lungimiranza e non l’essere tirati per la giacchetta dalle lobby che hanno fatto cassa fino ad ora infischiandosene del futuro delle giovani generazioni….

Fino a qualche tempo fa si usava il termine crisi. Un termine abusato che ha finito per non significare più niente. Tutto è in crisi, tra paura e incertezza. Nei primi due decenni del XXI secolo si è assistito a quattro crisi davvero devastanti: l’attacco alle Torri gemelle del 2001 e tutto quello che ne è conseguito, la crisi della finanza globale del 2008, la crisi climatico-ambientale prima negata e poi conclamata, la crisi pandemica del 2019. In attesa della prossima, quella che si profila è senza dubbio una crisi di civiltà, crisi della civiltà industriale ma anche di quella post-industriale, una crisi del post-qualunque cosa. Siamo al tramonto di qualunque cosa?

Allora, forse a ragione, alla parola crisi si è sostituita quella di transizione. Lo ha fatto anche il Censis nel suo 55 ° Rapporto sulla situazione sociale del paese 2021. La transizione viene dopo la crisi, come risposta a questa serie di crisi conclamate. La transizione è una risposta. Traduce l’attesa in preparazione di un nuovo inizio. La transizione dovrebbe indicare che questa volta bisogna andare oltre il limite. Il limite, evidente nella società italiana ma anche nel resto del mondo, è dato dalla costatazione che l’adattamento continuato non regge più. La ripresa non può essere fatta sulla base di un’evoluzione lenta del vecchio ma per progetto del nuovo. La politica di mediazione e di compromesso ad ogni livello, che poteva forse andare bene negli anni ’90 del secolo scorso, oggi è totalmente fuori gioco. Chi concepisce la transizione come compromesso con il vecchio non ha capito niente dell’emergenza climatica ambientale attuale e del vero cambiamento del paradigma con cui pensare il mondo e l’economia. Né evoluzione, né rivoluzione, la transizione è un cambiamento, un passo dopo l’altro, ma anche il primo passo è già nuovo. La transizione si ha solo come inizio del nuovo, ovvero con la riconversione. Bisogna andare oltre i limiti del passato. 

Anche della transizione esistono diverse versioni. La versione forte è quella più consapevole del percorso da compiere, dei sacrifici da sopportare e delle difficoltà da superare ma è anche quella più decisa. Questa forma di transizione è la transizione della civiltà industriale verso un’altra forma di civiltà, quella post combustibili fossili, post-sviluppista e post- consumista. Questa è la vera transizione che ci aspetta. 

La versione più “debole” è quella indicata anche dal Censis articolata nelle quattro transizioni (energetica, digitale, demografica, verde, occupazionale). Parlare con parole nuove, oltre l’afasia del dibattito politico che separa società e istituzioni, prendere coscienza collettivamente. Senza vie di fuga o scorciatoie, dice il Censis, “sopportare trasformazioni strutturali in grado di colmare distanze di qualità, se non di conquistare il futuro”.  

E poi c’è la versione Cingolani, che sarebbe ridicola e ininfluente, senonché lui dirige proprio il Ministero della Transizione. La cosa che non ha compreso è che, come si è detto, il compromesso, le soluzioni-non soluzioni, il tirare a campare, se erano sopportabili in passato, e non lo erano, oggi sono totalmente fuori gioco. Come dieci anni fa la Fiat rinunciò a sviluppare il motore elettrico e si trova ora spiazzata da altre industrie, come la BMW, che tra tre anni produrrà solo auto elettriche, così lo è la scelta del metano e addirittura del nucleare, per non parlare dell’uso dei rifiuti come combustibili. 

I tempi che stiamo vivendo richiedono coraggio, saggezza, lungimiranza e non l’essere tirati per la giacchetta dalle lobby che hanno fatto cassa fino ad ora infischiandosene del futuro delle giovani generazioni.  

La transizione, pesante o light, ma non “cingolana”, dovrebbe essere guidata da scelte sistemiche imposte dall’alto e coordinate dal basso con quelle dei diversi territori e delle diverse comunità locali. Una eco-democrazia che imponga al mondo produttivo l’internalizzazione delle diseconomie esterne (ovvero i danni provocati dall’attività di un soggetto che ne fa pagare i costi alla collettività) e persuada la società a fare sempre di più con sempre meno. Le forze in campo anti-ecologiche sono evidentemente anche anti-democratiche. Queste forze non parteciperanno spontaneamente alla transizione ecologica. 

Queste potenti lobby vogliono avere le mani libere da ogni controllo della politica e della società. E questo, evidentemente, non è più possibile, proprio perché siamo nella transizione. 

L’umanità intera sta vivendo la tensione tra il probabile, ovvero il risultato di un calcolo, e il possibile, che indica la forza della libertà umana, della creatività delle culture. La transizione è possibile ma bisogna farla ora. 

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