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UN NATALE DIVERSO, UN LIMITE AL CONSUMO

Il Limite /36

 

di  Raniero Regni

“Le feste si stanno mangiando la festa, così come i regali si stanno divorando il dono”

 

C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”. (Frederic Beigbeder-Publicitario)

Arriva Natale, come ci facevano scrivere sui nostri quaderni da bambini. Il tempo delle feste, il tempo sacro, quel tempo ciclico che gira su se stesso dall’eternità, riecheggiando in questo il tempo cosmico-naturale. Ma è sempre più evidente che l’aspetto sacro della festa è sempre più oscurato dall’aspetto consumistico delle feste. Le feste si stanno mangiando la festa, così come i regali si stanno divorando il dono. Faremo regali ma non sappiamo più perché, abbiamo perso la dimensione sacra e rituale del dono. Il dono è infatti un aspetto umano fondamentale, una costante antropologica universale. Il desiderio di dare senza chiedere ci fa sentire, per un momento, simili alla divinità. Questa è l’essenza del dono, che è sempre libero e non può essere obbligato. 

Come per altri aspetti dell’umano, il sistema dei consumi si impadronisce di bisogni fondamentali cambiandone il senso e il significato, finalizzandoli soltanto alla vendita e al conseguimento di profitti. È un paradosso che l’aspetto meno calcolante del nostro comportamento come il dono simbolico, venga sfruttato per fare soldi con calcoli raffinatissimi di strategie di mercato. 

Il meccanismo è il seguente. I bisogni umani sono piuttosto stabili e non sono illimitati, i desideri invece possono lievitare all’infinito. Quando si dice che è possibile manipolare i bisogni non si dice una cosa esatta, quello che si può manipolare è la risposta ai bisogni, indirizzandoli al consumo di cose. I bisogni, una volta soddisfatti, cessano di spingere il comportamento. Di che cosa abbiamo veramente bisogno? È una domanda antica a cui la saggezza filosofica ha dato risposte importanti. 

I desideri, al contrario, non conoscono la sazietà. Anzi, vengono sollecitati dal marketing al quale non interessa per niente la qualità dei prodotti pubblicizzati ma solo la credulità dei consumatori che possono essere manipolati. E la manipolazione è sottile e crudele perché gioca, alla fine, con la nostra capacità di essere felici. La vera felicità non consiste nell’avere ciò che si desidera ma nel desiderare ciò che si ha. Se questo modo di pensare avesse la meglio smetteremmo di consumare ai ritmi parossistici a cui siamo abituati. 

Sento già la giusta critica del lettore che dice “chi critica i consumi ha già consumato!”. È vero, la produzione e il consumo sono bisogni umani, ma il produttivismo e il consumismo sono della patologie sociali e umane, prima che economiche e ambientali, che ci stanno facendo correre il rischio dell’autodistruzione. La verità è che le persone felici e soddisfatte non sono dei grandi consumatori. Allora bisogna sviluppare artificialmente l’insoddisfazione. Sentite che cosa dice uno dei più noti esperti di pubblicità. “Sono un pubblicitario – scrive Frederic Beigbeder – ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Cielo sempre blu, ragazze sempre belle, una felicità perfetta, ritoccata in Photoshop. Immagini leccate, musiche nel vento. Quando, a forza di risparmi, voi riuscirete a pagarvi l’auto dei vostri sogni, quella che ho lanciato nella mia ultima campagna, io l’avrò già fatta passare di moda. Sarò già tre tendenze più avanti, riuscendo così a farvi sentire sempre insoddisfatti. Il Glamour è il paese dove non si arriva mai. Io vi drogo di novità, il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”.  La citazione è un po’ lunga ma il testo non è parafrasabile e dice l’essenziale. L’invecchiamento programmato degli oggetti della produzione di massa, la loro obsolescenza artificiale, li fa invecchiare non perché consunti ma semplicemente perché esiste un nuovo modello. La fast fashion, il cambiamento continuo delle mode che non rispetta oramai più neanche la tradizionale alternanza estate e inverno. Il fatto che le persone acquistano perché pensano di essere le uniche ad avere quell’oggetto quando si tratta evidentemente di un’illusione perché sono tutti prodotti di massa. L’idea soprattutto che quando comperiamo un oggetto non comperiamo un oggetto ma la speranza. Ovvero che la pubblicità fa appello agli aspetti basali dell’umano che sono la religione e il sesso. Tutto questo dà vita ad una vera e propria religione dei consumi che ricalca gli stilemi della struttura sacra. Si pensa che il bene-avere sostituisca il bene-essere, dando vita ad una fuga senza fine che degrada le relazioni sociali e l’ambiente. È quella che è stata definita la crescita difensiva. Si cerca di consumare di più per proteggersi dal degrado dei beni comuni, prime fra tutti le relazioni interpersonali. 

E i bambini, quelli a cui dovrebbe andare sempre la nostra attenzione ma soprattutto nei giorni in cui si attende l’avvento del Bimbo divino, sono come al solito i più minacciati e i più indifesi, Il marketing è all’assalto dell’infanzia e i bambini non hanno strumenti per difendersi da questa poderosa macchina di produzione, propaganda e consumo. Allora è facile che un ragazzino conosca moltissimi nomi di marche di oggetti ma, uscendo in un ambiente naturale, non sappia distinguere un albero da un altro. Dovremo allora ritrovare un limite e una misura nei nostri consumi e pensare a questo anche quando sceglieremo un regalo per i nostri figlie nipoti. In fondo, come ha sostenuto S. Latouche, la pandemia ci ha insegnato che si può vivere meglio con meno. E allora, con meno regali, facciamogli un dono, il dono della presenza e dell’amore.

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