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MACCHINARI,MACCHINE,MACCHINETTE E………

Valore & Valori 156

di Mario Travaglini

Dopo ogni mese, a bocce ferme, è mia abitudine fare il punto su tutto quello che è accaduto in borsa cercando di collegare le variazioni a quanto espresso dall’economia durante lo stesso periodo. E’ ormai assodato e risaputo che la finanza da diverso tempo bypassa bellamente l’economia e tutti i suoi teoremi ritenendo, anzi, di poterla addirittura manipolare a suo piacimento. Durante il mese di aprile, e più particolarmente l’ultimo giorno, diversi dati apparentemente contraddittori si sono scontrati tra loro facendo morti e feriti. Faccio fatica a resistere alla tentazione di ricorrere alla cifra stilistica umoristica che consiste nel presentare una situazione critica, dividendo la realtà tra “buone notizie” e “cattive notizie”, sapendo in anticipo che sono le seconde a prevalere. Ebbene questo martedì 30 aprile il mercato azionario è stato mobilitato dal tema automobilistico, in particolare sulla borsa di Parigi abbiamo assistito al crollo di Stellantis, la stella più luminosa del mercato azionario degli ultimi dodici mesi, avvenuto sulla constatazione di un calo delle vendite trimestrali legato ad un costoso programma di riduzione delle scorte.

Ma torniamo alla “buona notizia”: le immatricolazioni di auto nuove  sono aumentate in aprile del 10,9%, a 147.000 mensili, secondo i dati elaborati dalla Piattaforma automobilistica (PA), aumento che si ridurrebbe a meno del 10%, tenendo conto di 21 giorni lavorativi rispetto ai 19 dell’anno scorso. Se allargassimo l’esame al primo quadrimestre noteremmo che il mercato ha registrato una crescita del 6,95% su base annua, con 591.880 immatricolazioni. Ora la “brutta notizia”: se i dati complessivi sopra indicati vengono rapportati a quelli specifici del  gruppo Stellantis (Peugeot, Citroën, DS, Fiat, Chrysler e Opel) si nota che le immatricolazioni di auto nuove del gruppo sono aumentate solo del 2,60% rispetto ad aprile 2023. Se si considerano le vendite globali  si nota che il risultato è ancora peggiore : -10,5% , di cui  -13% nella sola Europa.

La divisione “lusso” del gruppo, Maserati, ha visto il suo fatturato dimezzarsi in un anno, in particolare a causa delle scarse vendite dei Suv Grecale e Levante negli Stati Uniti.

Stellantis si trova quindi davanti ad un semaforo, verosimilmente  rosso, ovvero molto indietro rispetto ai produttori tedeschi, coreani e giapponesi. Anche i marchi cinesi (come BYD, Leapmotors, MG – ex marchio britannico –, Geely/Volvo, Nio, Dongfeng, etc.) stanno guadagnando slancio con una triplicazione delle vendite, in particolare nel segmento “full electric”. I modelli elettrici costano almeno il 30% in più rispetto ai modelli termici di pari fascia, il che costringe sempre di più gli acquirenti a chiedere un prestito e costituisce un vero problema quando i tassi salgono, in media del 6% per un prestito di 10.000 euro in tre anni ( in TAEG), del 6,3% su quattro-cinque anni, poi al 7% su sei anni (durata massima).  E i prezzi non caleranno per i veicoli assemblati in Europa perché da luglio 2025 entrerà in vigore la norma “Euro-7”, che varrà per tutti i modelli prodotti dai nostri costruttori e, quindi, anche per le versioni meno recenti di ogni gamma. I prezzi non solo non caleranno ma temo che aumenteranno per ragioni puramente normative legate alla riduzione di CO2. L’industria automobilistica europea dovrà quindi essere preparata ad  crollo di gran parte della produzione a partire dal 2025 stante, come appena detto sopra, l’incapacità del potere d’acquisto degli acquirenti di tenere il passo con l’aumento dei prezzi dei veicoli (a meno di un miracolo tariffario), per non parlare dei costi di allacciamento (specifici terminali) e dei costi sempre più proibitivi dell’elettricità (e delle “ricariche veloci” in autostrada). Tutto ciò considerato, la notizia delle ultime ore, apparsa mentre scrivo questo articolo, secondo la quale Stellantis ha reso noto l’accordo con la Leapmotors per la vendita in Italia delle autovetture prodotte in Cina, sembra confermare le difficoltà del gruppo a rimanere competitivo nel mercato globale. E’ mia convinzione che l’accordo sarà il primo passo per la smobilitazione delle aeree produttive italiane e l’affermazione di un principio produttivo a basso costo e a bassa qualità, tipico del mercato cinese, che verosimilmente servirà ad eludere i dazi doganali di importazione ed a mantenere alti i profitti del gruppo. Insomma sarà un cavallo di Troia per mettere fuori gioco la produzione dei veicoli elettrici in Italia. L’inasprimento sempre più assurdo dei criteri attribuiti alle emissioni di CO2 non riguarda in realtà né il clima né la tutela della salute  ma mira a cancellare  la produzione di veicoli termici. Questi sono accusati di tutti i mali, mentre l’osservazione della realtà dimostra che la sostituzione di una batteria difettosa dopo 100.000 km rende l’impronta di carbonio della “auto verde” in cinque anni molto più disastrosa (longevità media) di quella di un motore da 1,3 litri che consuma 5,2 litri ogni 100 chilometri o anche 7 litri ogni 100 chilometri  per i Suv con cilindrata da 2000 cc.  Mi pongo la domanda se l’obiettivo è quello di sostituire entro il 2035 i 50 milioni di automobili con motore a combustione circolanti in Europa con 50 milioni di veicoli elettrici… oppure se l’intenzione è quella di rendere, dal 2025 e fino al 2030, la mobilità privata tanto costosa da riservarla ad una clientela elitaria che si concentrerà sui modelli di alta gamma. La maggior parte degli altri utenti che non possono investire cinque anni di stipendio in una Tesla “S” (93.000 euro) o due anni e mezzo per una Jeep Compass a 49.500 euro saranno incoraggiati a passare al car sharing, cioè ad una forma di comproprietà urbana (o assenza di proprietà) dove ognuno dovrà programmare l’utilizzo di un veicolo in base alle proprie esigenze (spesa nei centri commerciali di periferia, fine settimana, vacanze….).

Poiché questo non sarebbe stupido, perché un determinato veicolo passa il 90% del suo tempo restando fermo in garage, con un po’ di ironia o utopisticamente, provo a spingere il ragionamento su alcuni oggetti che possediamo e che utilizziamo solo occasionalmente come la lavatrice , il ferro da stiro, il trapano/avvitatore, generatore, etc., che sarebbe più redditizio mettere in comune o noleggiare e che, essendo fabbricati in minor numero, permetterebbero di risparmiare  kilotoni di CO2 . Fantascienza? Forse, ma  basta per illustrare uno dei mantra della Fondazione  WEF: “Non possederete più nulla e sarete felici ».

E se fosse stato fatto apposta?

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