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NON C’È DA STARE ALLEGRI !!

Editoriale  / 156

 di Pierluigi Palmieri

Contestazione rabbiosa o esultanza?

Inizio a scrivere questo editoriale con una precisazione: ho evitato di ascoltare e di leggere sui media  i commenti degli addetti ai lavori sull’episodio di cui parlerò oggi, domenica 19 maggio 2024, perché su di esso, a distanza di quattro giorni, vorrei offrire ai lettori  una mia interpretazione, diciamo così, “originale”.  Come sa bene chi segue la nostra Rivista mi capita sovente di parlare di Sport, non solo per averlo praticato in maniera intensa e avendolo studiato a livello universitario con buoni risultati, ritengo, molto presuntuosamente,  di avere voce in capitolo, ma anche perché  è un fenomeno che di spunti ne offre tantissimi, Domenica scorsa, grazie alla disponibilità di Ettore Giovannelli,  ho avuto occasione di immergermi nelle acque scintillanti, delle variegate sfumature del rosa, che hanno inondato la mia città natale, in occasione della partenza della tappa Avezzano-Napoli del Giro d’Italia.

Con lo storico inviato Rai della  Formula 1, oggi prestato al ciclismo, ho avuto il privilegio di scoprire il convulso  back ground organizzativo e soprattutto giornalistico del più importante evento ciclistico del nostro paese con tanto di interviste “reciproche” (simpaticissima quella in diretta Rai, in cui davanti al castello Orsini Colonna, con una patata del Fucino in mano provo a mettere a sintesi, in un paio di minuti, il prosciugamento del Lago, la resilienza dei marsicani, la storia del Maniero medievale e l’economia della nostra zona. ( L’INVIATO AL GIRO: Dal rombo del motore al silenzio del sudore – Centralmente ).

 Trascorse poco più di 72 ore, smaltiti i chilometri “a passo svelto” con il dinamico Giovannelli ed il suo cameraman Castelli e con nel cuore l’allegria dei fans di Vito Taccone davanti alla statua del Camoscio d’Abruzzo e delle decine di migliaia di appassionati addossati alle transenne dispiegate da Piazza Risorgimento fino alla Via Nuova che porta alla Superstrada del Liri, eccomi seduto davanti alla TV per assistere alla finale di Coppa Italia di Calcio.

 Ai miei occhi la partita appare molto combattuta ed equilibrata con giocate gradevoli da entrambe le parti. L’Atalanta fa di tutto per rimettere in equilibrio il punteggio dopo il gol realizzato da Vlahovic nei primissimi minuti di gioco, ma la Juventus si avvicina più volte al raddoppio prima con un gol dello stesso centravanti serbo annullato (giustamente) per un fuorigioco millimetrico e poi sul finale con il subentrato ArKadiusz Milik, che si becca un calcione in piena area che non viene sanzionato (ingiustamente) dall’arbitro Maresca. Questi è un direttore di gara di livello internazionale,  Massimiliano Allegri lo sa bene,  e a mio parere ha diretto la gara in maniera più che soddisfacente. Succede però che con l’atterramento di Milik e un fallo in attacco dell’atalantino Scalvini su un suo difensore pur sanzionato (giustamente) da Maresca l’allenatore della Juventus scoppia in una protesta clamorosa, va in escandescenza e scarica una serie di invettive nei confronti dell’arbitro e dei suoi più stretti collaboratori. Via la giacca, poi la cravatta e trattenuto a stento da pur corpulento secondo allenatore Landucci urla  ripetutamente “Vergogna!” mentre accenna a togliersi di dosso anche la camicia. Tra Manterrò la promessa iniziale di  dare una mia interpretazione “originale” a questo atteggiamento, non senza premettere che è il calcio la disciplina sportiva che più si presta a questo tipo di lettura. Nel tempo ho avuto occasione di  sostenere questa tesi argomentando sia nel mio Discorso sul Corpo che nella postfazione di La Filosofia dello Sport di Fabrizio Ravaglioli, la specificità del mondo del Calcio, con diversi riferimenti alle modalità con cui i tifosi sugli spalti e i protagonisti in campo manifestano la loro esultanza. Il  testo di D. Morris che tratta l’argomento in modo specifico porta il titolo di “La tribù del Calcio” ed elenca una miriade di modi in cui subito dopo la realizzazione di un goal, la “tribù” esplode in una delle sue maggiori espressioni di gioia: la manifestazione di trionfo. “I tifosi della squadra gridano, ballano, battono le mani sugli spalti, mentre gli eroi tribali celebrano l’uccisione, la conquista della preda, saltando e abbracciandosi freneticamente”. È un momento culminante della vita della “tribù” ed è goduto fino in fondo e senza inibizioni. Nel mio libro (2005) sottolineavo che questi momenti non sono sempre stati così. Nei primi tempi del calcio il momento di trionfo si celebrava generalmente con una semplice stretta di mano (” batti il cinque! “) ed un sorriso. I nuovi atteggiamenti sono spesso criticati dagli ex giocatori “anziani”, che si vergognano delle incontrollate manifestazioni di emozione; secondo loro, queste vanno contro ogni tradizione, che è l’unico elemento in grado di conservare una certa dignità ed ha la funzione di insegnare il rispetto per le posizioni non condivise. In realtà queste critiche rimangono fini a se stesse, perché secondo il pensiero di molti non si crea nessun danno ad esultare in questo modo così “esplosivo”. Ecco esplosivo è riferito agli abbracci ai rotolamenti ai salti e alle ammucchiate tra giocatori. Esplosivo è anche il gesto del giocatore che si toglie la maglia dopo la realizzazione di un gol (che a me non piace e giustamente viene sanzionato con il cartellino giallo), Ma se ad esplodere è un allenatore che va a fare la faccia brutta davanti al quarto uomo, che è un arbitro, figura istituzionale della giustizia sportiva, cosa dobbiamo pensare? Ecco la mia interpretazione “originale”: 

Allegri, allenatore con contratto in scadenza, alla fine di una stagione tormentata  ed un piede già fuori dalla sede della Juventus, in forte polemica con il direttore sportivo della Società, a pochi secondi dalla fine del recupero, assapora il gusto della conquista di una prestigiosa Coppa Italia, dopo aver ottenuto anche la qualificazione per la Champion League, sente di aver dato alla “tribù” qualcosa di più di quello che la tribù stessa meritava e si toglie la maglia, pardon la giacca e la cravatta della divisa bianconera, e va a gridare Vergogna sotto il muso degli “incolpevoli” direttori di gara. Ciò che non è il modo di conservare oltre che dignità  la funzione di insegnare il rispetto per le posizioni non condivise. Ergo: C’è poco da stare allegri!. Da qui il titolo…

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