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Fare il Festival del Medioevo o fare la festa al Medioevo?

 Il Limite /155

di Raniero Regni     

Fare il Festival del Medioevo o fare la festa al Medioevo?

 

Il Festival del Medioevo è uno degli eventi culturali più importanti che caratterizzano la città di Gubbio. La più bella città medievale, come recitano i cartelli stradali che accolgono chi arriva, appare senz’altro il luogo giusto per questo appuntamento. Da dieci anni il Festival coinvolge i più grandi studiosi della società medievale italiani ed europei in quattro giorni di intensi lavori. I temi sono sempre straordinariamente interessanti e la formula è stata di grande successo: relatori di altissimo profilo accademico che però devono parlare ad un pubblico di appassionati in trenta minuti di temi spesso molto complessi. Altissimo livello scientifico ma reso accessibile ad un pubblico colto sì, ma non di specialisti.

Certo il Festival dovrebbe raggiungere una sua stabilità attraverso la creazione di una Fondazione vera e propria che ne garantisca il futuro e gli metta a disposizione più risorse. Questo perché è un’iniziativa non effimera ma che si confà all’identità della città e, come tutti gli eventi culturali, muove persone e servizi, fa crescere nella direzione giusta Gubbio come città della cultura.

Di contro, succede però qualcosa di strano. Gli approfondimenti storici, anche grazie al lavoro di storici locali, dovrebbe aver creato una sensibilità diffusa tra gli abitanti rispetto a secoli davvero luminosi (non a caso il tema di quest’anno è Secoli di luce. Sulle spalle dei giganti), altro che secoli bui! Il Medioevo è il periodo storico di Dante e Francesco di Assisi, di Giotto di Petrarca, di Federico II e di Federico da Montefeltro. Un periodo storico davvero ammirevole e da studiare, da cui apprendere ancora oggi. Per chi, come il sottoscritto, è nato e cresciuto tra le pietre ben pettinate dagli scalpellini e muratori medievali, tra palazzi e vicoli, il Medioevo è qualcosa di familiare che attiene alla propria identità. L’eco dei passi di notte hanno un suono particolare, il suono della storia di generazioni passate che hanno costruito una città unica.

Ma non solo la città è una specie di piccolo gioiello ma il territorio di oltre 520 Km quadrati, che ne fa il settimo comune italiano per estensione, è fitto di testimonianze medievali. Più di cento castelli e torri punteggiano le sue vie di accesso da ogni direzione, sorvegliando i valichi e le strettoie dei fiumi. Uno di questi castelli, quello di Carbonana, che accoglie chi arriva dalla Toscana e dalla vicina Città di Castello, è uno dei più belli e meglio conservati e si trova in uno scorcio unico: il più bell’ingresso all’altopiano eugubino. Lungo la valle del fiume Assino, un affluente del Tevere, si viene accolti dalle sue torri, come si vede nella foto che fa da corredo a questo articolo. Più in basso è poi visibile un mulino medievale fortificato e più in alto un rudere di una delle torri di guardia e di segnalazione che facevano parte del cosiddetto corridoio bizantino che univa Roma con Ravenna, durante l’occupazione longobarda della penisola. Si tratta di uno scorcio intatto, quasi identico a come poteva apparire ottocento anni fa, tra natura e storia.

Bene. Questo gioiello, che andrebbe conservato a tutti i costi, sarà presto devastato dalla costruzione di una strada di cui, sempre nella foto, si possono intravedere le linee arancioni che ne disegnano il tracciato. Non si è avuta nessuna accortezza nel pensare di costruire una superstrada, abbastanza inutile e che avrebbe dovuto invece esser fatta passare in galleria. Invece proprio lì, le due corsie si dividono e una passa in basso, vicino al mulino e un ‘altra a mezza costa, vicino al castello, quasi che gli ingegneri avessero studiato il massimo impatto possibile. Questo vuol dire “fare la festa” al Medioevo!

Questo progetto, calato dall’alto, sembra che sia stato persino sottoposto alla pratica della Valutazione di Impatto Ambientale. Ma chi lo sapeva? La popolazione non è stata certo consultata, tantomeno le associazioni culturali e ambientaliste. Certo, l’amministrazione comunale ne era a conoscenza. La stessa amministrazione che pure si impegna nel finanziamento del Festival. Perché non ha impedito questo intervento? A che cosa serve allora studiare e approfondire la storia del Medioevo, con viaggi culturali

 affascinanti e così raffinati, quando poi non si difendono le splendide vestige reali di quell’epoca ammirevole consegnandole ad una modernizzazione cannibale? Le strade servono, ma temo che questa ennesima cascata di cemento e denaro pubblico sia legata non tanto all’utilità dell’opera, che poteva essere fatta molto diversamente, ma alle stesse filiere di pressione e di spesa che costruiscono opere inutili e dannose, quelle stesse filiere economiche e politiche di cui parlano tutti giorni gli scandali della corruzione.

Il paesaggio è un bene comune, non è qualcosa che solo i benestanti e gli intellettuali hanno a cuore, è qualcosa che appartiene all’identità di tutti. Il paesaggio è un volto, il nostro volto. Ogni sua deturpazione è uno sfregio alla nostra identità che nesce più brutta e incattivita.

 

 

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