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PERCHE’ IL PREZZO DELL’ELETTRICITA’ NON SCENDERA’ PIU’

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 PERCHE’ IL PREZZO DELL’ELETTRICITA’ NON SCENDERA’ PIU’

di Mario Travaglini

Il nuovo significativo aumento dei prezzi dell’elettricità riflette una tendenza inflazionistica duratura, contrariamente a quanto sostenuto da tutti i governi europei. Si ripete pappagallescamente che l’inflazione è finalmente sotto controllo, che la crisi è alle spalle e che non c’è nulla di cui preoccuparsi.  Non importa se le banche centrali temono ancora ufficialmente un rimbalzo dell’inflazione. Non importa che i cittadini continuino a riscontrare, durante i loro acquisti quotidiani, un aumento dei prezzi dei generi alimentari di oltre il 7%. Non importa che le pensioni (+5,3% dal 1° gennaio 2024) e gli stipendi (+4,5% per l’anno 2023) cerchino ancora di mettersi al passo con i prezzi. Questo bellissimo ottimismo non resisterà per molto tempo ancora alla prova degli eventi. Segnalo che la settimana scorsa in quasi tutti i paesi dell’Europa c’è stato un ulteriore aumento dei prezzi della elettricità. Nel corso di questo mese e in quello prossimo famiglie e imprese vedranno la bolletta elettrica salire ancora, tra l’8,6% e il 9,8% per gli usi domestici e del 6% per le imprese. Questo aumento non solo mina il discorso deflazionistico dei governi,  ma segnala una tendenza, difficilmente modificabile, più portata ad essere duratura che temporanea a causa  della transizione energetica almeno fino alla fine del decennio. Porterà a una ricomposizione del nostro panorama industriale, come sta avvenendo per i principali industriali tedeschi che vedono il loro modello di business andare in frantumi. Possiamo non essere d’accordo, ma sta di fatto che i nostri leader e i nostri specialisti dell’energia si sono lanciati in questa trasformazione del mix energetico a pieno ritmo. Per proteggere i nostri  risparmi e il nostro potere d’acquisto è fondamentale anticiparne gli effetti, ignorando tutti i leader che tendono ad impregnare i loro discorsi di un  beato ottimismo che nulla ha a che vedere con la realtà. Ricordiamo tutti come la crisi energetica seguita all’invasione dell’Ucraina abbia portato ad un forte aumento delle nostre bollette elettriche. Strutturalmente l’aumento era giustificato in quanto il mercato era davvero carente di elettroni e un meccanismo di riconciliazione tra domanda e offerta era pertanto inevitabile, tenuto conto, soprattutto, che l’esplosione del prezzo dei MWh del gas naturale, tradizionalmente utilizzato per rispondere ai picchi di consumo, non ha in alcun modo consentito alle società energetiche di mantenere i prezzi dell’elettricità ai livelli del 2021.Tuttavia, gli stessi fattori che avevano avuto un ruolo al rialzo nel 2022 avrebbero dovuto, intuitivamente, svolgere un ruolo al ribasso dalla fine dello scorso anno, quando il prezzo di un MWh di gas naturale nei Paesi Bassi, che funge da punto di riferimento in Europa, è crollato ben al di sotto dei 25 euro. Allo stesso tempo, il nostro Paese non ha migliorato affatto la produzione di elettricità continuando a puntare su fonti energetiche che non sono in grado si assecondare le richieste sempre crescenti in  termini di consumi. Per far fronte a queste esigenze siamo ciclicamente costretti a elemosinare presso i nostri cugini d’oltralpe quella parte di energia nucleare che sono in grado di esportare, per la quale, tra l’altro, non siamo neppure nella condizione di negoziare i prezzi. Non facciamoci troppe illusioni puntando sul gas perché la fiscalità contenuta nei prezzi, anche se alla fonte dovessero rimanere stabili, non riusciranno a salvarci. Il motivo è presto detto: se l’economia ha bisogno di MWh, lo Stato ha bisogno di tasse. Provo a spiegare meglio. L’aumento dei prezzi dell’elettricità imposto agli operatori economici all’inizio dell’anno non è giustificato dai fondamentali del mercato, ma dalla situazione di bilancio dello Stato Italiano. La causa è il ripristino del vecchio Contributo al Servizio Pubblico Elettrico, che per partecipare allo “scudo energetico” era stato ridotto a 1 euro/MWh consumato. Con l’aumento di questi ultimi tempi  lo Stato recupera poco più della metà delle accise di cui beneficiava prima della guerra in Ucraina. Ma attenzione: questo aumento è solo l’inizio dell’aumento delle tasse sull’energia. Non vedendo  miracoli all’orizzonte e restando, quindi, nel concreto mi sembra che per finanziare la transizione energetica le soluzioni possibili sono essenzialmente due : o più tasse o più debito. O, più probabilmente, entrambi. Secondo uno studio condotto dal l’ICE (Institute for Climate Economics) il percorso di decarbonizzazione su cui  dovrebbe impegnarsi il nostro Paese richiederebbe circa 140 miliardi di euro all’anno, una cifra che i nostri conti pubblici non riuscirebbero ad assorbire neppure con il ricorso ad una magia della cosiddetta finanza creativa.  Aggiungo, inoltre, che, parallelamente a questo sforzo senza precedenti, le finanze pubbliche si troveranno ad affrontare l’inevitabile minore incasso delle entrate provenienti dalla l’imposta sul consumo di carburante, stante la migrazione  dei trasporti verso la motorizzazione elettrica. Calcoli alla mano, tutto questo causerà un deficit di quasi 15 miliardi di euro all’anno nel 2030 e di oltre 30 miliardi di euro all’anno nel 2050. Questa voragine potrà essere colmata in un solo modo:  attraverso sovrattasse sul consumo elettrico, verosimilmente presentate come misure necessarie per ristabilire una certa equità fiscale. Non credo di essere molto lontano dal vero se oggi affermo che presto saremo costretti a rimpiangere le alte tasse sugli immobili che al confronto con quelle sulla elettricità sembreranno piume.

 

 

 

 

 

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