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Diabete e sport (Prima parte)

Benessere / 139

Diabete e sport

(Prima parte)

di Giuseppe Mazzocco

L’art. 1 della legge del 16 marzo 1987, n. 115, Disposizioni per la prevenzione e la cura del diabete mellito (Gazz. Uff. n. 71 del 26 marzo 1987), comma 1, lett. D, tra l’altro così recita “… agevolare l’inserimento dei diabetici nelle attività sportive …” ed all’art. 8, comma 2, prevede il rilascio del certificato di idoneità fisica per attività agonistiche, da parte del diabetologo.

Solo questo dato potrebbe dimostrare l’importanza che la pratica sportiva riveste nella cura del diabete.

Il lavoro in oggetto (del 1996) sposa, nella secchezza del binomio “diabete e sport” (preso come titolo), il grosso messaggio sociale che la legge sopra citata ha voluto dare. Il gesto sportivo è inserito nella prevenzione e nella cura del diabete mellito, per cui chi si interessa di trattamenti applicati allo sport (dai Medici ai Terapisti della Riabilitazione, dai Massofisioterapisti ai Chinesiologi, dai Podologi ai Tecnici Ortopedici ed a quanti altri mettono l’uomo-atleta al centro del proprio essere professionisti) deve conoscere il reale peso che una razionale e scientifica attività sportiva può avere sul “pianeta diabete” e sull’uomo moderno che, con questa patologia, dovrà convivere per tutta la vita.

Nella introduzione, il lavoro riporta dei brevi cenni storici del diabete mellito, reperibili in un famoso papiro egiziano, del XV sec. a.C., ed in un altro, brahmanico, della medicina indiana, dello stesso periodo. Successivamente, si ricorda che la “malattia del dolce” è stata descritta da Celso, da Galeno, da Avicenna e da Paracelso.

Il nome “diabete”, probabilmente coniato dal medico Areteo di Cappadocia (1° secolo d.C.), deriva dal verbo greco “diabainein” (passare attraverso) e dal sostantivo greco “diabetes” (sifone) ed indicano i sintomi più eclatanti della patologia: la polidipsia (aumento della sete) e la poliuria (aumento della quantità di urina emessa). Il diabete, “battezzato” nell’antica Grecia da Apollonio da Menfi come la “malattia del miele”, fu chiamato, ufficialmente, “mellito” nel 1675 dall’inglese Thomas Willis che, come tutti i medici di allora, facevano la diagnosi “assaggiando” le urine dei pazienti, per sapere se fossero dolci. Solo nel 1812, il Dott. Wollaston creò il metodo per dosare la glicemia. “La malattia del miele” è un nome che ha legato, da sempre ed in maniera direttamente proporzionale, l’evoluzione patologica del diabete mellito all’assunzione di “cibi dolci”.

Le terapie, come per altre patologie, hanno avuto, però, connotazioni scientifiche solo con l’evoluzione delle ricerche del mondo moderno e fatte in collaborazione con diversi campi tecnici (non solo bio-medici), anche se molte “intuizioni” per il trattamento del diabete si possono far risalire all’antichità. Solo i nostri tempi, ricorda l’Autore di “Diabete e Sport”, hanno determinato la prima cura efficace, fatta con l’insulina (da parte di Banting e Best), e l’indicazione che l’esercizio fisico sia una importante misura terapeutica.

La connessione del diabete con il movimento fisico ha, per una felice intuizione dei medici dell’antichità, origini lontane: indicazioni al riguardo vengono riportate in un testo indiano del 500 a.C. o in alcuni scritti di Aristotele. Però, per molto tempo, l’esercizio fisico ed il diabete venivano legati (per indicazioni terapeutiche) solo da questi presupposti, senza nessuna “certificazione da laboratorio”. Nel 1919 fu, invece, scientificamente dimostrato che nei pazienti diabetici l’esercizio fisico poteva ridurre la concentrazione ematica di glucosio e migliorarne, temporaneamente, la tolleranza. “Prima della scoperta dell’insulina – scrive testualmente l’Autore – dieta ed esercizio fisico costituivano i principali preside terapeutici nel trattamento del diabete mellito”.

Agli inizi dell’era insulinica si comprese che l’attività fisica poteva potenziare l’effetto ipoglicemizzante di tale ormone e ridurne il fabbisogno in pazienti diabetici insulino-dipendenti. Lawrence, diabetologo diabetico, riportò nel 1926, sul British Medical Journal, un’osservazione compiuta su se stesso: l’iniezione sottocutanea di insulina, ad azione pronta, determina una riduzione glicemica maggiore se, nel periodo immediatamente successivo, venga compiuto esercizio fisico rispetto alla condizione di riposo.

Per il sinergismo d’azione del lavoro muscolare e dell’insulina nei confronti del decremento glicemico, l’esercizio fisico venne considerato un “pilastro” della terapia del diabete, come chiaramente simboleggiato nella medaglia della Joslin Foundation di Boston, l’insegna della più antica clinica diabetologica. In essa sono raffigurati tre cavalli che conducono un cavaliere verso il traguardo della vittoria: il cavaliere è il paziente diabetico ed i tre cavalli sono l’insulina, l’esercizio fisico e la dieta.

Dal momento che, per il sinergismo professionale che rafforza ogni condizione di trattamento tecnico, il massaggio è intimamente legato all’area del movimento, comunque finalizzato, parlando di chinesiologia e di sport per il diabete bisogna parlare di massaggio e trattamenti manipolativi per i soggetti che, diabetici, praticheranno attività fisica: più mirato è lo stimolo che si invia con il movimento, più tarato deve essere il trattamento manipolativo.

Le ricerche su diabete e sport, o preferibilmente sullo sport per il diabete, sottintendono, quindi, altre specializzazioni tecniche con azione sinergica alla gestualità sportiva: scienza dell’alimentazione e dietologia, massaggio e tecniche manipolative pertinenti, chinesiologia sportiva e metodologia dell’allenamento e quant’altro può interessare il campo. Naturalmente, sarà della cultura del massaggiatore la responsabilità di calibrare interventi manipolativi mirati e congrui per il trattamento di un soggetto che, diabetico, si dedica all’attività sportiva.

Diabete, sport e massaggio dovranno, quindi, essere le essenze tematiche per indicizzare le prossime ricerche delle professioni manipolative e delle arre pertinenti.

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