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QUESTIONE DI FEELING

Editoriale / 138

QUESTIONE DI FEELING

di Pierluigi Palmieri

Cantiamo insieme in libertà,
lasciando andar la voce dove va,
così per scherzo fra di noi,
posso provarci anch’io se vuoi,
inizia pure vai.
(Riccardo Cocciante)

  Ogni  anno, superata l’Epifania che, come recita un vecchio detto popolare,  “tutte le feste porta via”, in noi tutti di famiglia si accende, con amorevole nuovo vigore, il ricordo di quel 8 gennaio 2011, giorno in cui abbiamo perso Angelo Maria, il gioiello intellettuale, che, a soli trent’anni, Chi ha creato cielo e terra e tutte le cose visibili e invisibili, ha voluto chiamare a Sé in anticipo. Con notevole anticipo, mi permetto di precisare, perché aveva raggiunto un  livello di professionalità e di obiettività che certamente preludeva ad una  maturità e a una saggezza che sono peculiarità di pochissimi nel giornalismo di oggi, ma anche in chi pratica la politica.

“ATTENTI AL LIBRO”, il titolo del mio editoriale di Capodanno ’23, si sarebbe perfettamente attagliato alle numerose recensioni che Angelo Maria Palmieri aveva scritto negli anni di collaborazione con giornali e riviste. La lettura e la scrittura, passioni in perfetta simbiosi coltivate sin da quando leggeva “La Voce” fondata da Indro Montanelli, di cui era fan  accanito (conservava l’intera collezione dal n.1 all’ultimo). Da lì il nomignolo di “Cilindro” (lo stesso che i colleghi di redazione usavano per il grande Montanelli) che volli attribuirgli  e che accettò di buon grado e con orgoglio. Comunque, nomignolo a parte, il Premio Nazionale di  Giornalismo a Lui intitolato, è arrivato quest’anno alla XII.Edizione e c’è una fornitissima Biblioteca a lui intitolata a Cappelle dei Marsi dove si trovano anche le centinaia di libri che aveva letto. E’ tutto dire.

Negli articoli e durante le sue interviste ( anche sulle TV libere) non risparmiava critiche anche alla Destra, sua area  politica di riferimento. Con  penna sferzante caricava i suoi articoli  di proposte costruttive, ritenendo la classe dirigente dell’epoca poco pronta per governare, Tornerò su questi argomenti a  cadenza regolare,  attingendo da un archivio ricco e oggi vieppiù interessante, in considerazione del colore del Governo in carica.

Ma, a proposito di recensioni, mi piace richiamare quella che Angelo Maria fece nel 2005, appena laureato in legge, di un libro I figli non crescono più di Paolo Crepet, dimostrando attenzione alle idee forza in esso contenute e capacità di sintesi, accentuata dalla schiettezza della sua personale lettura.  Tra le altre sottolineature, la distinzione, particolarmente  evidenziata, tra “amore latino” e “amore glaciale”. Qui in basso lo stralcio dell’articolo a firma di A.M.P. dal titolo “I FIGLI non sono eterni figli ma cittadini”, a cui spetta di diritto, come ripeto, il sottotitolo “Attenti al libro”. Se fosse ancora tra noi, nonostante gli inevitabili importanti impegni in campo politico e giornalistico che lo avrebbero certamente coinvolto, avrebbe accettato di scrivere su  Centralmente- La rivista, con lo stesso entusiasmo di quando, dopo essere stato eletto nel consiglio d’Istituto del Liceo Classico “Torlonia” in una lista da me proposta, mi chiese di essere il direttore responsabile del “ Giornale” , da lui ideato con il suo coetaneo Armando Floris, oggi manager dell’Università Pegaso. Lo stesso entusiasmo con cui accolse la fondazione di CREDICI, associazione per i Diritti civili, dopo la mia presa di distanza dalla mala gestio che imperversava nel sindacato della scuola a cui avevo militato fin dalla fondazione. Questione di feeling ovviamente.

(da CREPE(T)PENSIERO

 “I FIGLI non sono eterni figli ma cittadini”)

di Angelo Maria Palmieri

“Per Enzo Biagi è «un intellettuale da pronto inter­vento», secondo Mad­dalena Corvaglia «pas­sa troppo tempo in tv per definirsi psicologo» mentre Stefania Rossini lo ha etichettato come «lo psichiatra prét-à-Crepet». Paolo Crepet, “presenzialista” nel salotto di Bru­no Vespa, è però uno dei più grandi psichiatri italiani e forse proprio per questo ha qualche antipatia da sop­portare. È antifascista e progressista ma non ha mai ricevuto nessuna can­didatura dalla sinistra, ha detto quasi con orgoglio. Il suo ultimo libro ha venduto più di mezzo milione di copie ma nessuno lo ha recensito anzi “solo il Giornale di Sicilia” ha sottolineato Crepet al Magazine del Corriere della Sera. Eppure ” I figli non crescono più ” (Einaudi editore, 2005) è un libro di grande rilievo perché condanna il familismo. Quel tipo di familismo che da queste colonne abbiamo sempre combattuto. Per noi il cittadino è persona e quindi soggetto di diritti che rispetta la legalità e allora anche soggetto di doveri.

È il cittadino libero in uno Sta­to che ha delle regole. E l’identità di un cittadino deve essere legata al concet­to di patria e di famiglia. Ecco, allora, il “Crepe(t)nsiero” perché la famiglia de­ve educare i figli non come eterni figli ma come cittadini La privazione della libertà viene compensata inconsapevolmente dall’elargire smisurate felicitazioni esistenziali”. Si perde la libertà in cambio della comodità: questo è un errore del­la famiglia che non vuole il distacco dei figli e li carica di comodità e felicitazioni e proprio i figli non si rendono conto, per varie ragioni, che stanno perdendo l’autonomia e la libertà; “La fragilità della famiglia è emersa quando ad essa si è richiesto non più soltanto di provvedere alla sopravvi­venza dei figli, ma di educarli… Le nuove organizzazioni familiari (penso an­che, ad esempio, alle coppie di fatto) hanno bisogno di servizi non di denaro; di consigli e occasioni di confronto sui problemi reali, non di vincoli di legge”; Ci sono due tipi di amor filiale. Il pri­mo è “l’amor latino” che si traduce in una relazione ordita da infiniti ricatti affetti­vi in cui amare corrisponde a possedere: madri e padri sentono di essere i padro­ni dei propri figli”. Insomma, solo per­ché genitori sentono l’autorità di deci­dere cosa è giusto e cosa è sbagliato per il proprio figlio e questa attenzione si traveste da subdola complicità e da rap­porto amicale quando invece è solo una forma di dominio. L’altro tipo di amore filiale è “l’amor glaciale”: “Assai diffuso nella medio-alta borghesia nasce dall’e­sigenza dei genitori di essere precocemente autonomi dai figli”. Si crea un vuoto emotivo tra genitori e figli perché questi sono visti come intralcio e, dietro una falsa forma di Autonomia, si antici­pa in realtà la crescita del figlio che quin­di cercherà affetto in forme “bulimiche”. Questi due tipi di amore “non portano ad una crescita serena del senso di ap­partenenza emotivo”. Il figlio bisogna “accompagnarlo” e cioè “né esservi amico, né despota ma accompagnare vuoi dire narrare all’altro, raccontarsi, trova­re la forza di costruire una casa comune nella differenza, un amore senza pos­sesso, un’appartenenza senza dipen­denza, una affetto senza fughe”.

 

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