“FINCHÉ NON SAREMO LIBERE”: LA DENUNCIA ARTISTICA DELLA VIOLENZA SULLE DONNE IRANIANE AL MUSEO DI SANTA GIULIA
di Roberto Puzzu
Il titolo della mostra, “Finché non saremo libere”, è un’eloquente parafrasi del libro “Finché non saremo liberi. Iran. La mia lotta per i diritti umani” di Shirin Ebadi, avvocatessa e pacifista iraniana esule dal 2009 e vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 2003.
La mostra è un tributo alle donne come Jina Mahsa Amini e Armita Geravand, defunte dopo una lunga agonia, la seconda a soli 16 anni. Entrambe hanno pagato il prezzo supremo alla stupidità violenta e maschilista, “colpevoli” di indossare il velo in modo “scorretto”, cancellate dalla violenza perpetrata su di loro dalla Polizia morale del regime iraniano
Curata con maestria, l’esposizione presenta una serie di opere d’arte che, con forza e sensibilità, narrano le storie delle donne iraniane, nella quale si evidenziano le sfide, le aspirazioni e le resistenze che permeano le loro vite.
L’esposizione si apre con un’immersione nella storia e nelle tradizioni della società iraniana, nell’evidenziarne la ricchezza e la complessità di una cultura che ha plasmato l’identità delle donne nel corso del tempo. Le opere esposte spaziano dalla pittura alla fotografia, dalla scultura all’installazione, offrendo una varietà di prospettive e approcci artistici che arricchiscono la comprensione della tematica.
Uno degli aspetti più potenti della mostra è la sua capacità di svelare le sfumature di una realtà spesso misconosciuta. Le opere catturano la lotta quotidiana delle donne iraniane per la libertà e l’uguaglianza, esplorando temi come la discriminazione di genere, il controllo sociale e la ricerca di un’identità individuale. I visitatori vengono immersi in storie di resilienza, coraggio e speranza che sfidano le limitazioni imposte dalla società.
Le artiste, molte delle quali hanno affrontato direttamente le sfide della condizione femminile in Iran, riescono a trasmettere la complessità delle loro esperienze attraverso l’uso sapiente delle forme artistiche. La bellezza delle opere d’arte coesiste con la durezza della realtà ritratta, creando un impatto emotivo che lascia il visitatore riflettere a lungo dopo aver lasciato la mostra.
Le opere esposte in questa mostra provengono dalla collezione dell’Associazione Genesi e sono realizzate principalmente da donne artiste provenienti da diverse parti del mondo. Tuttavia, spicca la videoinstallazione “Becoming” (2015) di Morteza Ahmadvand, l’unico artista maschio in mostra, che riflette sulla possibilità di convivenza tra culture.
Le sezioni successive presentano opere di rinomate artiste iraniane come Shirin Neshat, Soudeh Davoud, Farideh Lashai e Sonia Balassanian. Queste donne, pur essendo note a livello internazionale per la loro qualità artistica, non hanno mai avuto personali in Italia, sottolineando l’importanza di portare alla luce voci e visioni artistiche spesso trascurate.
La giovane artista Zoya Shokoohi, con la sua installazione conclusiva, aggiunge un tocco contemporaneo alla mostra, dimostrando che la lotta per la libertà e i diritti umani continua a essere una sfida per le generazioni future.
Il catalogo della mostra, curato da Ilaria Bernardi e arricchito da contributi di Omar Kholeif, Delshad Marsous (Associazione Maanà-Associazione della Diaspora Iraniana) e Zoya Shokoohi è il completamento della visita alla mostra nell’offrire ulteriori punti di vista su questa importante esposizione artistica, testimonianza visiva della lotta contro l’oppressione e per la libertà delle donne iraniane.
Anche attraverso questa mostra il Museo di Santa Giulia si consolida come luogo di denuncia sociale attraverso l’arte, nella sua esplorazione delle criticità del mondo attraverso gli occhi di artisti che, con la loro opera, resistono alle violenze dei regimi.
(Museo di di Sabta Giulia – Brescia – Dal 11 Novembre 2023 a 28 Gennaio 2024)