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Aspetti chinesiologici nel recupero del ginocchio dopo la ricostruzione del legamento crociato anteriore (seconda parte)

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Aspetti chinesiologici nel recupero del ginocchio dopo la ricostruzione del legamento crociato anteriore

(seconda parte)

di Giuseppe Mazzocco

L’autore ricorda come tutti gli studi citati precedentemente (e supportati dalla corposa bibliografia riportata, sia in lingua inglese che italiana) sul recupero del ginocchio dopo la ricostruzione del legamento crociato anteriore siano concordi sul fatto che le potenzialità di guarigione spontanea di un legamento crociato anteriore rotto appaiono molto scarse.

   I fattori che contribuiscono a rendere molto difficile la guarigione non guidata ed assistita, come avviene per molti altri tessuti, sono la complessità geometrica del legamento, le caratteristiche biomeccaniche, una vascolarizzazione insufficiente e (secondo non tutti, ma per la maggioranza dei ricercatori) una scarsa capacità rigenerativa cellulare, anche sotto immobilizzazione gessata.

   Nella maggior parte dei casi e se non trattato nei tempi giusti, il legamento rotto si retrae e va incontro a necrosi.

   Per la scarsa capacità di rigenerare spontaneamente le sue caratteristiche peculiari, sono state messe a punto numerose tecniche di ricostruzione chirurgica per ridare stabilità articolare, prevenire danni secondari a carico di altri distretti e per ritardare l’organizzazione di quei processi degenerativi a cui l’articolazione andrebbe incontro.

   Il lavoro mette in evidenza l’importanza della preparazione psicologica del soggetto (soprattutto se atleta o giovane) prima dell’atto chirurgico del “riassestamento” legamentoso e, successivamente, riporta le principali tecniche di ricostruzione.

   Storicamente, il primo intervento del genere fu fatto nel 1885 da Leeds, in Inghilterra, mentre solo nel 1993 Jones e Smith dimostrarono l’importanza del legamento crociato anteriore nel controllo statico-dinamico articolare del ginocchio.

   Sull’anatomia del crociato anteriore, l’Autore ricorda gli studi di Danylchuk (sulle fibre collagene che in fasci paralleli di 20-30 unità formano il legamento stesso) e quelli di Scapinelli (prima) e Arnoczky (dopo) sulla sua scarsa irrorazione.

   La parte che segue (il terzo capitolo) riporta i concetti di riabilitazione nella letteratura moderna, precisandone le linee guida che la giustificavano negli anni Settanta (modello rieducativo di tipo conservativo: immobilizzazione post-operatoria, negazione della completa gestualità per la fase riabilitativa e ripresa lentissima e molto ritardata dell’attività sportiva).

   A metà degli anni Ottanta (per merito di Shelbourne e Nitz) venne messo da parte il concetto di immobilizzazione post-operatoria e si fece strada quello del protocollo accelerato riabilitativo e di mobilizzazione passiva continua.

   Questo fu il punto di partenza dell’attuale rivoluzionario indirizzo del recupero gestuale del ginocchio operato e quattro possono essere le fasi che la riabilitazione impone: fase uno (da 0 a due settimane) in cui si “combatte” il dolore (sia per il trauma che per l’intervento) e si usano (variamente, ma universalmente impiegate) macchine per il movimento passivo (con angoli articolari raccomandati, però, non da tutti riconosciuti; vi è poco accordo sui gradi di apertura del movimento passivo del ginocchio).

   I protocolli che stabiliscono degli obiettivi precisi, per quanto riguarda la mobilità, sono molto pochi. Il più esigente è, probabilmente, quello di Shelbourne e Wilckens che prevede il raggiungimento dell’estensione passiva completa prima di fare qualsiasi altra azione.

   Alcuni Autori suggeriscono, già durante questa fase, l’esercizio delle altre parti del corpo e l’allenamento cardiovascolare, per non incorrere in eccessivi cali di forma fisica.

   La seconda fase (da due a sei settimane) è quella della “riconquistata” posizione ortostatica, con il passo abituale (nei vari protocolli, anche se tutti sono d’accordo sul tema, varia molto il momento d’inizio dell’appoggio).

   Dal punto di vista di attrezzi si usano molto la cyclette, lo stairclimber e la leg-press. È prevista (Lutz) l’attività a catena cinetica chiusa, per ridurre al minimo lo stress legamentoso.

   La fase tre (da sei a dodici settimane) testimonia la marcata diversità dei vari protocolli riabilitativi, perché questa è la fase dell’“indirizzo gestuale”, ovvero dell’obiettivo chinestesico da raggiungere.

   La fase quattro (oltre le dodici settimane) prevede attività dinamiche (controllate, ma intense: corsa, balzi, piegamenti) per il ritorno all’attività agonistica piena.

   In ogni caso, sono previsti allenamenti specifici graduali e l’uso di ginocchiere protettive.

   (Continua con la terza parte).

Premio Nazionale ANATRIPSIS – Le culture manipolative, le scienze motorie e le aree pertinenti fra storia, metodologie applicative ed aspetti professionali – Edizione 1997.

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