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IL VERO COSTO DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

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IL VERO COSTO DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

di Mario Travaglini

 I progetti fantascientifici, costruiti e pubblicizzati con l’unico scopo di accaparrarsi sussidi pubblici o fare da vetrina alle politiche di decrescita, devono sparire dalla circolazione. Le cifre sono ufficiali, formali e a disposizione di tutti, almeno per chi ha voglia di documentarsi. La transizione energetica non avverrà secondo la versione romanzata che ci propone una parte della classe politica, naturalmente quella più illuminata (ça va sans dire).  Chi pensa che basterebbe far pagare ai ricchi e non agli “altri” (leggasi ceto medio e classi meno abbienti) e chi immagina che l’umanità avrebbe accettato con il sorriso la via del declino, per di più finanziandola, si sbaglia di grosso.  L’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) conferma tre grandi elementi che minano le argomentazioni di una certa parte politica che vuole fare della transizione energetica un programma totalmente ecologico. Il primo è che l’umanità vuole avere una voce e non solo subire e, quindi,  non intende accettare  la conservazione dell’ambiente a scatola chiusa, né ridurre gli effetti sugli ecosistemi o limitare il suo consumo di energia, ma di preservare e migliorare il suo tenore di vita. La seconda è che la transizione energetica è costosa, anzi molto costosa. Si tratta quindi di uno sforzo notevole che rappresenterà un costo colossale per tutti i cittadini, con effetti devastanti solo per il ceto medio e le classi meno abbienti (mi ripeto ma è cosi).

Tutto questo ora è quantificato e ammonta a migliaia di miliardi di euro all’anno. Il terzo elemento è che la transizione energetica è compatibile con il capitalismo e il liberalismo, ideologie che i  cosiddetti progressisti hanno sempre avversato. Gli investimenti necessari per migrare a zero emissioni di carbonio possono essere forniti – e lo sono già in larga misura – dal capitale privato, grazie agli utili che in prospettiva si annunziano super positivi. Non c’è bisogno, quindi, di nazionalizzare le nostre economie e regolamentare tutte le nostre azioni in nome di un ideale decarbonizzato: il settore privato ha già intrapreso la strada della decarbonizzazione e vuole, per questo, trarre tutti i benefici economico finanziari possibili, addossando gran parte del costo, con il consenso degli “illuminati”,  a quelle classi sociali che poco sopra ho più volte richiamato. Gli ambientalisti fanatici spingono verso una regressione globale del tenore di vita per ridurre il consumo di energia, quando nella storia dell’umanità il consumo di energia e la ricchezza sono sempre stati positivamente correlati. Gli ultimi dati dell’AIE dimostrano che l’umanità sta percorrendo una strada che non è quella verso la quale oggi forzosamente viene indirizzata. Tanto che  anche quest’anno il PIL mondiale, pur in un contesto difficile e inflattivo, continuerà a crescere, così come la produzione di energia. Senza offesa per chi rifiuta questa tendenza, ritengo che essa  non ha motivo di fermarsi. Lo scontro oggi in atto si spiega con il fatto che  la transizione energetica è stata inizialmente presentata alle popolazioni su basi fallaci. La prima è che sarebbe costata solo qualche miliardo di euro; la seconda che sarebbe stato possibile finanziarla concentrando lo sforzo su attori economici mirati (gruppi petroliferi, miliardari, fabbriche cinesi). Cosa hanno in comune queste bugie? In tutti i casi si trattava di far credere agli ingenui cittadini che gli sforzi sarebbero stati insignificanti o sostenuti e  portati avanti da “qualcun altro”. La realtà è che le aziende non usano i combustibili fossili per il desiderio di danneggiare, inquinare o schiavizzare vittime innocenti, ma perché hanno caratteristiche uniche e costano poco rispetto ai servizi resi. Il corollario è che farne a meno sarà costoso e che, sebbene  le energie rinnovabili ed il nucleare abbiano innegabili vantaggi in termini di sostenibilità e tutela dell’ambiente, sono inizialmente un investimento costoso. Il fatto che questo investimento sia redditizio a lungo termine non cambia il suo prezzo immediato, e questo è espresso in trilioni di euro all’anno

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che vengono inevitabilmente sottratti all’economia reale. Si tratta dunque di un costo netto per l’economia, che viene pagato a cascata finendo per restare sul groppone delle imprese e dei cittadini (sempre gli stessi). Va da sé, quindi, che  la transizione energetica non può essere realizzata solo attraverso enunciazioni apodittiche di politici europei o indigeni, ancorché aiutati dai soliti trombettieri ingenui o malinformati; ciò che è vitale è che le autorità pubbliche si impegnino da una parte a finanziare coloro che non sono nella condizione di spendere e, dall’altra, a mantenere un quadro normativo stabile, condizione sine qua non affinché il settore privato abbia sufficiente visibilità per impiegare con cognizione di causa i propri capitali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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