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 KEYNES, E’ ORA DI ANDARE OLTRE  (ovvero come sfatare i miti sull’inflazione e sui tassi di interesse)

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 KEYNES, E’ ORA DI ANDARE OLTRE (ovvero come sfatare i miti sull’inflazione e sui tassi di interesse)

 di Mario Travaglini

John Maynard Keynes è un economista divenuto immortale per aver ha gettato le fondamenta del moderno pensiero macroeconomico con la sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”.  Essa può essere sinteticamente riassunta in questo modo: quando si presentano carenze di domanda aggregata, tali da lasciare che l’economia si allontani dalla piena occupazione del lavoro e dal pieno utilizzo della capacità produttiva, diventa necessario l’intervento pubblico a sostegno della domanda tramite politiche monetarie e/o fiscali espansive. Lo Stato, in sostanza,  deve agire e sostituirsi al privato. Benissimo. Tutti gli stati, chi più chi meno, l’hanno messa in pratica, compreso il nostro  che l’ha utilizzata per un lunghissimo periodo di tempo ed anche oggi, a tratti se ne ricorda per qualche provvedimento. Se guardiamo bene, però, questa teoria diede ai governi la scusa perfetta per interferire nell’economia ed acquistare poteri che uno Stato liberale non dovrebbe avere. Dubito che i governi rinuncino volontariamente a tale potere, sostenuti e appoggiati da  battaglioni di economisti che lavorano per le banche centrali i quali sostengono con fervore che il controllo dei tassi di interesse è uno strumento di politica monetaria essenziale per la gestione dell’economia. Allo stesso tempo, gli stessi economisti, nel solco di una comune condivisione internazionale, sostengono anche che l’indice dei prezzi al consumo (CPI) è un indicatore per misurare con precisione l’inflazione.

Lo stato attuale della ricerca, ossia dei contributi scientifici volti a migliorare le conoscenze della macroeconomia, può essere descritto come uno stallo, un po’ come continuare ad affermare che la terra è piatta e Keynes, a mio modo di vedere, è in gran parte responsabile di questo pesante declino della conoscenza nel campo della macroeconomia. Infatti, secondo quanto egli afferma, i tassi di interesse sono determinati dalla legge della domanda e dall’offerta di liquidità. In altre parole, i tassi di interesse sarebbero determinati dall’offerta di moneta e dal desiderio dei risparmiatori di accumulare, cioè di tenere contanti sotto il materasso. Keynes sosteneva che i tassi di interesse troppo bassi spingono i risparmiatori ad accumulare, mentre i tassi di interesse più attraenti scoraggiano tali pratiche e li portano a  cogliere le opportunità del mercato, spiegando nei suoi scritti che il tasso di interesse rappresenta  “una ricompensa” in cambio dell’accettazione di “rinunciare alla liquidità”. Ancora più esplicitamente, Keynes credeva che i tassi di interesse erano determinati dalla quantità di denaro che si sceglie di investire anziché da quella che era detenuta in contanti (sotto il materasso)

La foto è riresa da Money.it

per proteggersi in caso di eventi imprevisti.  Il tasso di interesse di equilibrio era, quindi, secondo lui, stabilito dalla quantità di moneta generalmente disponibile, vale a dire dal rapporto tra l’offerta di moneta e dalla quota detenuta in contanti dai risparmiatori.

Secondo questa teoria, il risparmio bancario e la domanda di credito non avrebbero quindi alcuna influenza sul processo di formazione dei tassi di interesse, sebbene il risparmio bancario sia l’alternativa alla detenzione di contanti. Se ci si pensa bene occorre ammettere che tutto questo è un controsenso.  Una delle difficoltà che si incontra nel leggere l’opera di Keynes  è che usa il termine “risparmio” per designare due attività distinte: il trasferimento di crediti (dai risparmiatori al mercato) e il mantenimento di crediti ( nei conti bancari). Solo definendo con chiarezza questi termini si può comprendere che il contributo essenziale di Keynes è stato quello di evidenziare il ruolo che svolge la quantità di moneta risparmiata e conservata dai risparmiatori. L’odierna realtà è che con i nostri euro non possiamo più comprare tante azioni, oro o beni immobili, così come non possiamo più comprare la stessa quantità di  banane o di pasta. Questa è la vera misura dell’inflazione e non il CPI che ne è un indicatore distorto in quanto non riesce a rappresentare il vero livello di inflazione che la popolazione deve sopportare. Molte persone oggigiorno non hanno più accesso alla proprietà a causa del livello dei prezzi delle case, ma secondo i politici non si tratta di inflazione. Chiaramente, la banca centrale lascia che gli alberi nascondano la foresta quando fissa l’obiettivo di limitare l’aumento del CPI al 2% annuo.

Le stesse anomalie interpretative si riscontrano sul tema dei tassi di interesse. Essi non sono determinati dalla domanda e dall’offerta di liquidità o dal desiderio dei risparmiatori di nascondere denaro sotto il solito materasso quanto  dalla domanda e dall’offerta di credito. E poiché costituiscono un elemento  importante per il corretto funzionamento del sistema economico le loro fluttuazioni svolgono un ruolo cruciale nel riequilibrare l’offerta e la domanda di beni e servizi nel tempo. Piegarli o, meglio, manipolarli produce gli stessi risultati di quando un governo interferisce sui prezzi dei beni e dei servizi. Una recessione o una depressione sono talvolta un male necessario attraverso il quale un’economia capitalista può riequilibrare l’offerta e la domanda dopo che queste sono state danneggiate o, meglio, artificiosamente modificate  da provvedimenti governativi. Spesso mi chiedo perché questi temi non sono messi in rilievo né dibattuti a livello scientifico o giornalistico. Ecco perché ritengo che sia arrivato il tempo di rivedere in profondità il pensiero economico, quello, tanto per intenderci, che ha dominato la scena nell’ultimo secolo. Occorre andare oltre i  dogmi keynesiani e riportare il buon senso nel dibattito economico e finanziario piuttosto che inseguire le chimere dei bitcoins e dei guadagni stellari per accalappiare i sempre più ingenui e numerosi risparmiatori a digiuno  di conoscenze tecniche. Un passo nella giusta direzione sarebbe quello di abolire le banche centrali e tornare alla moneta sana. Vivremmo quindi in un mondo in cui la deflazione sarebbe la norma e i tassi di interesse bilancerebbero adeguatamente domanda e offerta nel tempo, ponendo fine agli incessanti cicli di espansione e contrazione che abbiamo conosciuto finora. Per chiudere ripropongo la domanda che ho posto all’inizio di questo articolo : immaginate che i governi rinunceranno volontariamente a tale potere?  Io ho dubbi. Molti dubbi.

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