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Il più fresco dei prossimi quarant’anni

Il Limite / 118

di Raniero Regni  

 Dobbiamo cambiare prospettiva nel guardare tutto quello che sta accadendo attorno a noi. È questa l’idea che abbiamo cercato di sostenere, direttamente o indirettamente, in tutti gli articoli di questa rubrica. Cambiare modo di pensare come presupposto per un cambiamento del nostro modo di vivere. L’estate soffocante che stiamo vivendo non è l’estate più calda dall’inizio della rivoluzione industriale ad oggi, non c’è stato solo un innalzamento della temperatura globale di più di un grado. Questo è il modo sbagliato di guardare al riscaldamento globale e alla crisi climatica. Questo è solo l’inizio. Allora dobbiamo pensare che questa sarà l’estate più fresca dei prossimi decenni.

Gli eventi eccezionali, inondazioni e siccità, gli eventi estremi diventano la norma. Allora la nuova norma dovrebbe essere all’altezza dell’eccezione. Azioni decise a favore della decarbonizzazione, riduzione del consumo di suolo, potenziamento delle rinnovabili, riciclo e riuso, nessun uso dei rifiuti come combustibile, riassetto del territorio, realizzazione delle bioregioni e degli ecodistretti che si affianchino e guidino l’azione di comuni e regioni, e così via. La risposta non potrà essere che comunitaria contro l’individualismo egoista e predatorio, che si nasconde dietro la bandiera del liberismo.

Eppure, nei telegiornali, dopo le notizie sull’aumento delle temperature c’è la notizia dell’aumento del PIL, come se le due cose non fossero collegate oppure, come se fossero sullo stesso piano, un dato negativo compensato da un dato positivo. Senza considerare che è lo sviluppo, questo genere di sviluppo, quello che ha prodotto i danni ambientali e provocato l’effetto serra.

L’idea è che non dobbiamo più pensare l’essere umano come un essere speciale ed esclusivo, frutto di un’umanità esploratrice e conquistatrice, ma come una specie fragile e minacciata collegata a tutte le altre creature. Non il potere illimitato che possiamo costruire ma la saggezza della riscoperta del limite che dobbiamo accettare e con cui prendere le misure, per dare vita ad una forma di convivenza con il resto dell’ambiente naturale, con il resto del creato.

Rileggendo le cronache dell’epopea della conquista della Luna mi hanno colpito le annotazioni degli astronauti della missione Apollo 8 del 1968. Annotazioni che forse allora non vennero comprese perché erano dentro l’ubriacatura per le conquiste illimitate della scienza e della tecnica. Allora tutti noi eravamo curiosi e ansiosi di vedere il suolo lunare, ma in realtà quello che colpì gli astronauti non era la superficie arida e spettrale del nostro satellite, ma è il sorgere del nostro pianeta sull’orizzonte lunare. Così scrisse Frank Borman, “per caso guardai fuori da un oblò ancora limpido nell’istante in cui la Terra spuntava sopra l’orizzonte lunare. Era la cosa più bella e commovente che avessi mai visto e mi sentii travolgere da un’ondata di nostalgia assoluta, come se mi mancasse casa mia. In tutto lo spazio, era la sola cosa che avesse un po’ di colore”. La Terra appare come una gocciolina blu nel nero del cosmo, l’arancia azzurrina in un universo infinito, buio, nero, morto. Anche Marte, il pianeta rosso si mostrerà così, un luogo senza vita, alle prossime missioni spaziali. L’altro astronauta, Bill Anders, osservò, “mi sentii sopraffatto dal pensiero che eravamo arrivati fin lì per vedere la Luna, e invece la cosa più notevole che stavamo vedendo era il nostro pianeta, casa nostra, la Terra”. Ma noi delle imprese spaziali ricordiamo invece la frase di Armostrong sul primo passo sul suolo lunare e sul balzo dell’umanità verso la conquista dell’infinito.

Gli astronauti, gli esseri umani andati più lontano dalla loro casa, hanno capito quanto preziosa e unica fosse la Terra. Una meravigliosa eccezione. Così lontani e così vicini. Solo vedendola dallo spazio in un solo colpo d’occhio ne hanno visto i limiti. Un pianeta piccolo e delicato. Qualcosa da amare e proteggere. La nostra casa.

“Proteggi ciò che ami”, suona così oggi nella mia radio una pubblicità che cerca di sensibilizzare l’attenzione degli italiani nei confronti degli incendi in modo da segnalare tempestivamente ogni focolaio che rischia di distruggere l’ambiente e il paesaggio. “Proteggi ciò che ami”, non è solo uno slogan pubblicitario ma dovrebbe essere la preoccupazione maggiore per ognuno di noi. Certo, il bel suono democratico e ambientalista di questo slogan potrebbe essere però interpretato anche in un’altra maniera, che sembra in verità dominante, se quello che ami è il profitto, proteggi a tutti costi quello che ami. E allora addio pianeta blu.

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