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IMAGINARY FRIENDS – FONDAZIONE MIRO’ – BARCELLONA

IMAGINARY FRIENDS – FONDAZIONE MIRO’ – BARCELLONA

di Roberto Puzzu

L’arte contemporanea cambia costantemente, con l’apparizione di nuovi artisti e la costruzione di linguaggi innovativi, la diversificazione dei materiali e la formulazione di nuovi discorsi. 

Imaginary Friends è una mostra interattiva che si propone di far conoscere questo processo artistico in continua evoluzione a visitatori di ogni età, in particolare ai giovanissimi.

L’artista e l’opera d’arte, intesi come  amici immaginari, creano quello spazio sospeso fra realtà e immaginazione in cui tutto è possibile, uno spazio di gioco e di scoperta.

Imaginary Friends permetterà ai visitatori di addentrarsi nel mondo dell’arte contemporanea in modo piacevole, divertente e accessibile. 

La mostra intende accompagnare lo spettatore alla scoperta e conoscenza di artisti rinomati e incoraggiarlo, attraverso il gioco e la comprensione, all’accettazione dei linguaggi della contemporaneità ed al contempo abbandonare quell’atteggiamento di diffidenza che è proprio di chi si avvicina per la prima volta all’arte contemporanea.

La struttura della mostra si basa su nove installazioni, alcune classiche e altre di nuova creazione, distribuite nelle sale espositive della Fundació Joan Miró e in altre parti del museo. La maggior parte delle installazioni sono interattive e riflettono temi di attualità legati al gioco e al tempo libero, così come altre preoccupazioni, che gli artisti hanno affrontato nelle loro opere.

Le mostre sono realizzate da artisti di diversa provenienza e generazione, tra cui Paola Pivi,  Polly Apfelbaum,Kasper Bosmans,Meschac Gaba, Afra Eisma, Pipilotti Rist e Martin Creed, la maggior parte dei quali esporrà per la prima volta in un museo in Spagna.

Due opere catturano l’attenzione dei visitatori, aprendo le porte a un viaggio emotivo attraverso l’infanzia e l’evoluzione personale. “We are the baby gang” (2019) di Paola Pivi e “The potential of women” (2017) di Polly Apfelbaum si distinguono per la loro capacità di richiamare ricordi e sensazioni legati all’innocenza dell’infanzia e alla scoperta della propria identità.

L’opera di Paola Pivi, artista milanese nata nel 1971, introduce i visitatori al viaggio con la “baby gang”, una cricca di cuccioli di orsi polari congelati in pose acrobatiche. Nonostante i colori acidi e la consistenza sintetica dei materiali utilizzati, questi cuccioli trasmettono un senso di calore e familiarità, richiamando la sensazione di abbracciare un morbido peluche. Questa creazione invita gli spettatori a ricollegarsi alla propria infanzia e ai dolci ricordi dei peluche che, con il passare del tempo, spesso vengono relegati nell’oblio dei garage insieme agli amici immaginari.

L’installazione di Polly Apfelbaum, artista nata ad Abington nel 1955, intitolata “The potential of women”. Quest’opera fa emergere ricordi di pomeriggi passati davanti allo specchio, quando l’individuo si osservava e giocava con le proprie forme in cambiamento. Lo spazio, concepito come un luogo in cui sdraiarsi sul pavimento e disegnare, è decorato alle pareti con l’Album 13 di Joan Mirò, una collezione di disegni e bozze dei personaggi più famosi dell’artista catalano. Al centro dell’installazione si trovano quattro opere di tappezzeria che rappresentano il volto di una bambola con la faccia divisa tra il rosa e l’arancione. Questo volto enigmatico, con gli occhi rappresentati da due pallini neri e una bocca assente, sembra rappresentare il passaggio dall’infanzia all’età adulta. La figura potrebbe essere interpretata come quella di una bambina che si trasforma in donna, osservata dai personaggi che l’hanno accompagnata nel suo percorso verso un traguardo che sembrava irraggiungibile ma che alla fine è stato raggiunto.

Le installazioni invitano gli spettatori a contemplare il percorsodi vita dall’infanzia all’età adulta, nel rievocare quei momenti di gioco, scoperta e crescita che caratterizzano “l’esperienza”.

Suscitano invece riflessioni profonde sull’immaginazione e sulla critica sociale le opere “Democracy Game” (1999) dell’artista Meschac Gaba e l’installazione “Tails tell Tales” (2022) di Afra Eisma che invitano il pubblico a interagire e ad esplorare temi complessi attraverso il gioco e la conversazione.

Il “Democracy Game” di Meschac Gaba, nato a Cotonou nel 1961, è un gioco di concentrazione composto da sei banchi di legno, ognuno dei quali presenta pannelli che possono essere messi in ordine o disordinati per ricreare o distruggere le sei bandiere rappresentate. Questo processo simbolico riflette il gioco crudele di manipolazione e riassemblaggio di un continente, controllato e riorganizzato dall’Occidente come un bambino grande. L’opera di Gaba denuncia la colonizzazione e allo stesso tempo propone uno spazio in cui le mani possono muoversi, spingendo senza senso né direzione i pannelli colorati su superfici che li fanno scivolare. Questo lavoro oscilla tra la crudeltà e l’innocenza, l’umanità e il cinismo, suscitando una riflessione sulle dinamiche di potere e controllo.

Analogamente, l’installazione “Tails tell Tales” (2022) di Afra Eisma, artista olandese nata nel 1993, presenta creature di pezza dalle forme antropomorfe. Queste creature sono caratterizzate da braccia allungate come serpenti, mani guantate gigantesche e gambe che si trasformano in code racchiuse in scarpette di ceramica dall’aspetto settecentesco. L’opera, originariamente concepita come uno spazio in cui i visitatori potevano avvicinarsi, giocare e conversare con i propri “amici immaginari”, è stata transennata a causa di problemi di conservazione. Questo effetto altera l’esperienza prevista, ma solleva un messaggio potente, difatti attraverso queste opere, i lavori di Gaba ed Eisma sollecitano i visitatori a esplorare tematiche complesse, spingendoli a interrogarsi sulle dinamiche di potere, sulla storia coloniale e sulla natura dell’immaginazione stessa.

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