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VUOTI STEREOTIPI SU SOLIDA PIATTAFORMA -DANILO SINI ALLA PINACOTECA NAZIONALE DI SASSARI

 

Venerdì 9 giugno, nella sala dei pilastri della Pinacoteca Nazionale di Sassari, è  andata in scena la performance musicale e teatrale progettata da Danilo Sini in collaborazione con Claudio Maniga. 

Il testo che pubblichiamo. ad opera del crico d’arte Mariolina Cosseddu. ha accompagnato la serata.(R.P.)

VUOTI STEREOTIPI SU SOLIDA PIATTAFORMA

Difficile definire con un solo sostantivo il progetto ideato da Danilo Sini e realizzato come secondo atto di una trilogia in progressivo accadimento.

Potremmo chiamarlo un progetto borderline se questo termine non implicasse eccessi  fuori controllo. Ma certo è che si tratta di un’operazione che corre su un filo radente, su un limite costantemente superato, su un confine trasgredito. 

Arte visiva, musica, azione scenica, intervento critico, sono tutte componenti pensate per interagire tra loro, per creare una situazione dove il pubblico ha una parte non trascurabile, come lo spazio che accoglie e gli stessi operatori culturali che questo momento hanno sostenuto. Tra performance, happening e arte partecipata, “la cosa” che accade coniuga strettamente originali elaborazioni anni settanta, attualissime creatività, riflessioni per il presente.

Protagonisti sono i lavori di Danilo Sini, la musica di Claudio Maniga, l’azione scenica di Luana Mulas e Roberto Satta, lo spazio della Pinacoteca nazionale di Sassari, il collettivo Il Colombre che, con la direttrice Maria Paola Dettori, avvalorano la serata. E un pubblico chiamato a lasciar evaporare le resistenze passive per un contributo determinante alla messa in scena. 

Di fatto una messa in scena nel senso teatrale del termine, un’azione performativa che si articola su due fulcri catalizzatori: le opere a parete, e una tessitura musicale che le sostiene, di Danilo Sini e la musica elettronica di Claudio Maniga.

Nel buio scenico irrompe una ondata di chitarre che, come un suono di campane, è segnale di un movimento che sta per compiersi: un ritmo incalzante con il sapore di un allarme persino fastidioso che accompagnerà un’azione apparentemente semplice quanto fortemente simbolica. Un’azione articolata in una sequenza di movimenti ripetitivi e congestionati nella disposizione dei lavori sulla parete che, mentre replica il meccanismo stesso su cui si fonda qualsiasi mostra, accentua, nel sottofondo martellante e negli strumenti con cui opera, la  palese  risonanza di una simulata crocefissione. Non è un caso che le immagini scultoree siano collocate su un impianto cruciforme e i soggetti dei lavori riproducono l’iconografia di un Cristo in croce.

Quattro piccoli lavori dunque che Luana Mulas affigge ( e poi toglierà) nello spazio deputato sotto l’implacabile luce con cui Roberto Satta guida l’attenzione del pubblico. Quattro momenti in cui gesti, sostegno sonoro, luci e  ritmi cadenzati rivelano le forme scultoree di Danilo Sini. Quattro lastre di metallo formano la base (solida) su cui si aggrappa un Cristo mutilo su una croce instabile: fatto di carta compressa e lavorata a mano, la struttura plastica è di fatto un involucro senza contenuto, un’icona popolare svuotata di senso al cui interno non c’è proprio nulla. Una scultura smaterializzata e ridotta a pura visibilità per dire in maniera cruda e dolorosa il vuoto pneumatico di questo tempo insano.  Un’illusione tridimensionale dunque dove la forma ha perso la sua capacità significante per ridursi a uno dei tanti stereotipi di cui si alimenta una cultura effimera. Siamo di fronte, in qualche modo, a quello che Jean-Luc Nancy chiama “Pensiero sottratto” ( Bollati Boringhieri, 2015) , vale a dire la pratica messa in atto dalla cultura occidentale di spoliazione dei valori e dei miti: “mondo nudo e pensiero nudo stanno l’uno di fronte all’altro”.  Il progetto di Danilo Sini  acquista allora il valore implicito di una denuncia di quella “sottrazione di pensiero” dove l’individuo è incapace a modificare il perverso meccanismo sociale di cui è parte. Anzi, la  riflessione dell’artista sembra proprio investire di una pesante accusa il contesto culturale che riduce a niente la volontà dei singoli. Costretti a ripetere gli stessi vuoti cerimoniali. La stessa degradante liturgia. 

Senza mezzi termini Teresa Macrì lo definisce Fallimento (Postmedia Books 2017), per indicare la crisi esistenziale di una generazione che guarda in faccia con sgomento la perdita, l’assenza, l’erranza come condizione sociale e artistica del nuovo millennio. Il lavoro di Danilo Sini, sintetizzando fino a semplificare eccessivamente, sta dentro questa visione pur senza precludersi, come suggerisce Macrì, una possibile via di fuga in un inaspettato immaginario.

Se la situazione scenica diventa man mano sempre più intensa e insistita, vengono in soccorso gli intermezzi musicali di Claudio Maniga che offrono quiete e stabilità alla successione delle scene e l’incalzare delle chitarre. Parentesi poetiche potremmo definirle: frutto di una ricerca condotta negli anni e di una acuita sensibilità sonora, i brani creati da Claudio Maniga rispondono sempre a sperimentazioni singolari, a intuizioni acustiche elaborate in musicalità elettronica in dialogo con l’accadimento performativo e con i lavori di Danilo Sini con cui si misura, vale la pena ribadirlo, per il secondo atto (e la  seconda volta) di un trittico condiviso. Che, in questa azione musicale,  generano una distesa armonica come contrappunto  alla drammaticità dominante. Una sorta di pausa cadenzata in tre interventi che, in conclusione, si fonderà  con il tappeto sonoro di Sini, legandosi strettamente in una chiusa dove l’immaginazione (almeno quella musicale) sembra prevalere sulle convenzioni stereotipate. 

Ma ciò che è stato installato ha un tempo breve di vita e la stessa attrice è chiamata a togliere ciò che è stato messo, e la luce a rivelare una tragica deposizione. Tutto tornerà come prima mentre riprende, ma con andamento contrario, il motivo musicale d’esordio. Un capovolgimento inquieto e inquietante che solo il connubio tra musicalità differenti e contrastanti sembra appena smorzare.  Una fusione di toni diversi. Tra disturbanti e armonici. Ognuno si orienti come crede. Ognuno faccia la sua parte. 

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