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Il dubbio / 112

MORIRE O AMARE?

di Enea Di Ianni

 “Nessuno di noi pensa volentieri alla morte… Ci sforziamo di non permettere a questo pensiero, dall’accezione negativa di sfiorare la nostra mente perché rappresenta inevitabilmente la fine della vita…

Così scrive Serena De Filippi (Istagram del 14 giugno 2023, ore 10:30) e il motivo per cui non ci si pensa volentieri è che pensare ad essa, alla morte, significa porsi di fronte alla fine della vita e la vita  è tutto quello che ci ha permesso di esserci, di muoverci, di incontrarci e scontrarci, di scegliere ed essere scelti, di rifiutare ed essere rifiutati, di fare e non fare, di dire e tacere,  di aprirci e chiuderci agli altri, di emergere o confonderci.

E’ la vita, solo la vita, che ci ha permesso di essere attori e spettatori, protagonisti e comparse, uomini e gente, ma soprattutto ci ha permesso di amare ed essere amati.

Siamo nati grazie ad un atto d’amore, a un momento di piacere umano che, quando c’è stato, ha richiesto il coinvolgimento dei protagonisti.

Da sempre ho pensato alla vita come dono, un dono grandissimo che rende straordinari chi lo fa e chi lo riceve.

Avviando il motore di un’automobile capita, diverse volte, di pensare come quel gesto, col tempo, sia diventato così scontato, eppure la prima volta che l’abbiamo compiuto scontato non lo era affatto. Ripetevamo, allora, mentalmente: mettere il cambio in posizione di “folle”, accertarsi che il freno a mano fosse  inserito, tenere sotto controllo, col piede, l’acceleratore  e solo allora inserire la chiave e girarla in senso orario.  Da difficile, l’accensione del motore si è fatta scontata e tutto a beneficio di noi umani: un gesto e l’auto potrà condurci dove cuore e ragione desiderano di andare. Saranno i percorsi a segnare le differenze che verranno e che, strada facendo, ci faranno protagonisti o spettatori. Non ci è dato sapere quanti altri viaggiatori incroceremo e quanti incroceranno noialtri, ma di certo molti condivideranno con noi un caffè, diversi una colazione, una conversazione; altri ancora entreranno in empatia con noi e noi con loro. Con alcuni ci perderemo di vista, con altri le frequentazioni diverranno abituali. Qualche volta ci capiterà di rincontrare chi si era smarrito o si era, volutamente, tenuto in disparte.

Sarà proprio quel rincontrarsi la prova che la vita non segue una linea retta, ma predilige lo zig-zagare. Il perché non lo so, anche se mi piace pensare che lo faccia per restituirci delle chances, delle occasioni per farci recuperare rapporti e apprezzare, col senno di poi, quanto il tempo possa essere galantuomo per chi riesce a capirlo.

Ci succederà così, diverse volte, di tornare a pensare ai “molti” che abbiamo incrociato nel nostro percorso di vita e ai “tanti” che pure si sono persi strada facendo. Da alcuni ci arriveranno segnali di affetto, da altri stilettate di ingiustificato rancore che proveremo a capire, ma senza riuscirci perché se non è facile capire se stessi, figuriamoci gli altri!

Perché si ama? Per non essere soli; per avere affetto e per donarne. Perché si respira? Per non morire. Perché, pur volendo, non riusciamo a farne a meno, perché il corpo ha bisogno di aria così come il cuore di affetto, affetto da dare e ricevere. La nostra vita si muove su un ritmo binario: battere e levare, due movimenti, gli stessi che percepiamo ascoltando il cuore, avvertendo le pulsazioni che l’amore tende ad accelerare. Il contraltare dell’amore è il rancore, uno struggersi da soli, continuo, quasi sadico, mentre si cerca di tenere costantemente sotto tiro l’altro. Triste la vita del rancoroso, triste e senza via di sbocco.

Alfonso Signorini, nel numero settimanale di “Chi” del 14 giugno, interamente dedicato alla vita di Silvio Berlusconi, riferisce di un’intervista al Cavaliere, un’intervista piuttosto recente, durante la quale alla domanda ”Come vorrebbe morire?” la risposta è stata “Vorrei morire amando!”

Non mi ha sorpreso la risposta del Cavaliere,  non suona affatto strana.  Prima di lui qualcun altro aveva risposto ad una domanda similare, riferita al modo più autentico di vivere la vita:

«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».  

«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua   anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento.

Il secondo poi è simile a quello:   Amerai il tuo prossimo come te stesso”[1]

Amare Dio, amare il prossimo, amare se stessi. Amare la vita, il creato, ciò che ci circonda;  amare sempre, amare tutto e tutti: questo è il senso cristiano della vita perciò il momento della morte deve coglierci “in vita”, presi e compresi nell’amore del Signore, di noi stessi e di chi ci è “prossimo”, vicino.

Nel silenzio del Duomo di Milano le parole del celebrante, l’arcivescovo Mario Delpini, hanno reso l’omelia funebre una leale presentazione del “Silvio Berlusconi uomo” a Dio e, nel farlo, il prelato ha usato toni che sapevano di sincerità, di umanità e di fede cristiana. Parlava del Cavaliere, ma c’eravamo tutti in quelle parole, c’eravamo ciascuno di noi!

Amare e desiderare di essere amato…  cercare l’amore, come una promessa di vita… come una storia complicata, come una fedeltà compromessa…” non è storia di tutti gli umani?

Essere contento e amare le feste… Godere il bello della vita…. Essere contento degli amici di una vita… Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri…” non sono, forse, atteggiamenti e sentimenti anche nostri, di ciascuno di noi?

E non è forse vero che un uomo d’affari deve fare affari e un uomo politico deve cercare di vincere? E che proprio per ciò che fa ci si ritrova ad avere  sostenitori e oppositori?

Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta. Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà…”

Silvio Berluconi “è stato” tutto quello che si è detto, ma soprattutto è stato un uomo: “un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia”.

Cosa resta di quei desideri di vita, di amore, di gioia? Tantissimo! Resta l’esempio, restano le azioni, le opere, i risultati. Resta l’impronta del suo passaggio, l’eco del discorso di Onna, la storia del suo Milan, ma anche la lunga persecuzione giudiziaria e le tantissime piccole storie di umanità, anonime come dev’essere ogni gesto di umana solidarietà. Resta un’idea di politica rispettosa delle persone, degli impegni, dei diritti umani, della libertà. L’idea della politica associata al “fare”. Grazie, Cavaliere, per il già fatto, ma anche per quanto continuerà a fare perché, ancora oggi, Lei non smetterà di fare. Ricorda questi versi? “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti…”  Il Foscolo non si sbagliava e Lei, Cavaliere, è stato, ed è, uno davvero “forte”!

                               [1] Mt 22,34-40

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