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VISCO, ILCORAGGIO CHE NON C’E’

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VISCO, ILCORAGGIO CHE NON C’E’

di Mario Travaglini

      La scorsa settimana Vincenzo Visco ha salutato la Banca d’Italia leggendo ad un autorevole parterre la sua relazione annuale sullo stato dell’arte della nostra economia. Una delle poche e poco significanti prerogative rimaste al Governatore del nostro Istituto Centrale. Ciononostante la Banca d’Italia ancora oggi viene considerata un sancta sanctorum fortificato e inaccessibile sebbene non stampi più moneta, non decida la politica monetaria del Paese, non controlli tutti gli istituti bancari sparsi sul territorio nazionale. Sappiamo che la moneta è volata in Europa, che il controllo delle banche sistemiche (Intesa, Unicredit, etc.etc. ) viene svolto dalla BCE, restando a carico della Banca d’Italia il solo controllo delle banche più piccole a carattere locale con i risultati che noi tutti ormai conosciamo . Nonostante tutto questo i suoi dipendenti sono rimasti a quota 6885 per un costo annuo poco sotto un miliardo di euro. Faccio notare che la Bank of England deve gestire oltre  la Brexit anche la sua moneta, i tassi di interesse, nonché un mercato finanziario (City) decisamente molto  più vasto di quello italiano. Lo fa con 3983 dipendenti. Ogni anno, tuttavia, assistiamo ad uno stanco rituale che ha poca ragione di essere ancora mantenuto, non potendo avere contenuti pregnanti per indirizzare la nostra economia. Il Governatore, come ha fatto anche in questa occasione, si limita a riassumere scenari già conclamati a livello internazionale, ad indicare possibili percorsi di crescita interna e a dare consigli al Governo sul tema delle riforme e dei rapporti con la Commissione Europea.

Volendo riassumere le sue considerazioni finali in una frase potrei dire che il Governatore ha scelto di congedarsi con un affresco ottimistico sull’Italia di oggi, invitando ad osservare il Paese per quello che è e non per quello che appare con la valutazione distorta dell’appartenenza politica; un Paese in salute che può ancora migliorare molto se il Governo attuale riesce a superare i suoi tabù. Vediamo in un rapido dettaglio i punti salienti del suo intervento . Visco mette subito in evidenza l’incompletezza dell’Unione bancaria, rilevando che per completare il progetto europeo non sono pochi gli ostacoli istituzionali e politici da superare. Omette, come invece era auspicabile, un esteso e articolato giudizio descrittivo sul venticinquennale della Bce e su ciò che in essa funziona adeguatamente, come sui ritardi e sulle carenze che pure presenta, in particolare nella funzione di Vigilanza bancaria. Infatti dei tre pilastri  che compongo la Vigilanza è stato realizzato solo il primo, quello del controllo, non essendo del tutto impiantato il secondo, la risoluzione unica delle crisi, ed essendo di là da venire il terzo, il ricordato schema unico di tutela dei depositi.

Una situazione, questa, che non può durare e che trae origine da un’adesione capestro  (Mario Monti, primo Ministro) a suo tempo data all’adozione del bail in che prevede anche la possibilità, che pure i depositi bancari debbano concorrere alle perdite di una banca in dissesto. Omette ,altresì, di prendere una netta posizione contro la tempistica e la consistenza dell’esagerato rialzo dei tassi voluto dalla BCE. Nell’esaminare il programma Next Generation Eu e RePowerEu, il Governatore osserva che essi hanno rilievo non solo per la loro dimensione, ma anche perché dimostrano la capacità dei partner europei di assumere responsabilità comuni per rispondere a sfide comuni. Egli dimentica, anche qui, ancora una volta, di sollecitare l’Europa ad assumere quella responsabilità comune nel far fronte al fenomeno degli sbarchi che l’Italia ha più volte invano sollecitato. In maniera elegante, ma a mio modo di vedere scarsamente efficace, torna a rivolgersi all’Europa affinché riprenda in considerazione il  tema degli eurobond, un tempo mantra  del professor Tremonti,  ossia  l’istituzione di un titolo di debito pubblico comune, che, previa la messa in condivisione di parte delle passività nazionali, potrebbe svolgere il ruolo di safe asset.

A livello interno il Governatore ha evidenziato che vi sono questioni di lungo termine ed alcuni punti critici che vanno assolutamente indirizzati verso una veloce soluzione; tra tutti ritiene che quella demografica sia la più urgente perché l’Italia invecchiando più velocemente della media avrebbe bisogno di  “più giovani, più donne e più migranti” nella forza lavoro.  Altre enunciazioni riguardano poi “le competenze  che sono spesso insoddisfacenti”, “la qualità della pubblica amministrazione che deve essere alzata, “il sistema fiscale che è troppo complesso e a volte non del tutto equo”, “le imprese che restano ancora piccole nel confronto europeo” per finire con “l’evasione fiscale e il lavoro sommerso che alterano la concorrenza”.      Mi soffermo brevemente su due altri temi che a mio parere sono fortemente connessi tra loro ma che il Governatore ha trattato in modo slegato. Egli sostiene, giustamente, che il debito pubblico costituisce una grande zavorra per lo sviluppo del Paese  perché “…..  riduce le risorse imponendo avanzi primari significativi ed obbliga di mantenere tassi di crescita e produttività più alti che in passato, in modo prolungato nel tempo”. In altra parte del suo intervento ha sollecitato l’Esecutivo  ad “….. uscire dai contrasti quotidiani  perché non c’è più tempo da perdere per  profittare della grande occasione  ed ottenere il massimo dal PNRR”. Partendo dal presupposto inconfutabile che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (1) è costituito in misura preponderante da debiti che, come tali, vanno prima  ad incrementare il debito pubblico complessivo e poi restituiti, e che lo stesso è stato predisposto da Conte, poi  rimaneggiato da Draghi e, successivamente, sottoposto a revisione dal Governo ora in carica per le note vicende inflazionistiche dovute alla pandemia ed alla guerra in Ucraina, mi domando se non sarebbe stato il caso di spendere qualche parola tecnicamente significativa  per mettere in guardia l’Esecutivo dall’incrementare inutilmente il debito pubblico con la realizzazione di opere che non hanno nulla a che vedere con il bene comune del Paese. La metafora di Don Abbondio cade a proposito:”Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

 1) Per finanziare il PNRR italiano, approvato dalla decisione del Consiglio UE del 13 luglio 2021, sono state messe a disposizione dall’Unione Europea risorse pari a 191,5 mld di euro, composti da 68,9 mld di euro finanziati da sovvenzioni a fondo perduto (grants) e 122,6 mld di euro finanziati tramite prestiti (loans).

 

 

 

 

 

 

 

 

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