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AI CONFINI DELL’IMPERO. NUOVE PERIFERIE DELL’ARTE CONTEMPORANEA – PERUGIA DOMUS PAUPERUM

A distanza di un anno dall’inizio del ciclo, la mostra AI CONFINI DELL’IMPERO si sposta a Perugia. Volentieri ospitiamo la riflessione critica del critico d’arte Beatrice Dotzo (R.P.)

Dopo le mostre di Sassari, Siena e Bologna, il nostro progetto giunge a Perugia attraversando ancora una volta i territori della contemporaneità. Nato con l’obiettivo di divulgare e approfondire alcuni frangenti storici significativi dell’arte contemporanea in Sardegna, ha messo a fuoco la permeabilità di un peculiare linguaggio del contemporaneo aperto a differenti contesti, generando consensi, interazioni e interrogativi. Nella sua evoluzione ha proposto una visione della contemporaneità centrata sulla sperimentazione, concepita nella sua dimensione estetica ben definita sotto l’aspetto progettuale e nella poetica che si rinnova nello spazio e nel tempo. In differenti contesti la percezione di un fenomeno artistico potrebbe apparire più o meno condizionata da rapporti di spazio-tempo assoluti, relativamente ai trascorsi storico-artistici di un luogo o di uno spazio in grado di evidenziarne più o meno adeguatamente i messaggi. Anche le città d’arte, ancorate profondamente alla tradizione, accolgono gli stimoli della contemporaneità nel momento in cui la percezione dell’opera d’arte non viene condizionata da una visuale già omologata, come la percezione della storia non può ridursi ad un’unica linea prospettica. Il sentimento altro, in grado di evocare lo spirito del contemporaneo, prende forma necessariamente dalla possibilità di concepire l’opera nella pluralità delle sue componenti espressive, oltre la relatività di una percezione temporale legata al suo contesto storico, destinato a diventare spazio aggregante nel quale ritrovare comunque relazioni materiali e spirituali. Il passaggio tra passato e presente, tra modernità e contemporaneità, rappresenta la continuità nella ciclica e discontinua diversificazione della creatività. La produzione dei nostri artisti si integra e si confronta con l’industria culturale in una dimensione estetica che viene meno alle spinte, spesso eccessive, della globalizzazione e delle avanguardie. Paola Dessy, Giovanna Secchi, Angelino Fiori, Marco Ippolito e Roberto Puzzu tendono ad una visione poetica eterogenea e selettiva, privilegiando il presente e filtrandone i contenuti per una proiezione in progress. I loro linguaggi comunicano con evidente autonomia espressiva, in quel processo formale che possa giustificare ampiamente i risultati, condizione determinante per preservare il valore nella globalità dell’opera e darle un’identità specifica. Il recupero della “forma estetica” risulta essenziale e va ricercato nei percorsi più singola

PAOLA DESSY

 

“L’atto creativo è un’esigenza esistenziale: ogni artista crea seguendo un istinto personale e sente il bisogno di esprimere in quel dato momento le proprie sensazioni… Affascinata dal bello ho la necessità di esprimermi in maniera semplice, ricca ma non ridondante, di tradurre il segno, il colore, le forme, ciò che rispecchia il mio coerente pensiero…Armonia, concetti, racconti, invenzioni, libertà di espressione. Qualunque sia il soggetto trattato e qualunque sia il mezzo utilizzato. Libertà completa da vincoli di etichette e di mode”.In queste parole Paola Dessy condensa gli elementi fondanti del suo processo creativo, sviluppato secondo il ritmo della continuità e di una costante ricerca di equilibri essenziali tra la potenzialità di un’invezione intima e la materia, sulla quale domina il segno, profusione di suggestioni vitali. Il suo mondo poetico si rivela in un ciclico percorso operativo che si arricchisce nel tempo con smisurata libertà espressiva e un’evoluzione mai interrotta. Privilegia l’analisi di un mondo organico suggestivo per le sue affascinanti e controverse interpretazioni: mentre l’empatia tra uomo e natura può generare potenzialmente vive emozioni di un mondo intimo e imperscrutabile, l’amara riflessione sulla realtà contemporanea ne evidenzia la fragilità irreparabile. Le trame organiche, gli scorci di una natura vissuta e spesso sedimentata nei ricordi emergono dalla singolare dialettica tra segno e materia con differenti strumenti espressivi, obbedienti al nerbo di una tecnica consumata: la xilografia, la calcografia, la stampa digitale, le tecniche miste, gli interventi pittorici sulle stampe. Un work in progress che, in assoluta libertà, rivela la potenzialità ciclica di una sconfinata operatività, suscettibile di variazioni, suggestioni, innovazioni, sintesi, assonanze e dissonanze. La sua pittura è impostata sulla valenza del segno come filo conduttore di una dimensione gestuale che potremmo defini-re informale. L’evidenza del segno rimanda all’alternanza tra l’elemento grafico e quello pittorico, con atmosfere cromatiche che suggeriscono soffuse forme figurali e un’ abile sinergia tra abilità pittoriche e scultoree. Gli altri elementi dominanti sono l’ampia diversificazione dei mezzi espressivi : la ceramica, la scultura, la pittura, la grafica, e attualmente la strutturazione di installazioni. Ha sempre unito alla sperimentazione grafica e pittorica una notevole sensibilità tattile nella rielaborazione creativa di materiali differenti, strutturati con abilità di sintesi, come avviene in tante sue opere sempre ispirate alla natura e all’ambiente. Mentre attribuisce alla materia un significato simbolico, ne esplora le potenzialità in un libero rapporto tra pensiero e azione.  Al processo di stampa si uniscono elementi materici come vetri, legni, metalli,  in un processo simbiotico da cui scaturiscono partecipazione e sgomento, riguardo a quell’ordine naturale talvolta incrinato e sconvolto dall’azione dell’uomo. L’elemento organico, estrapolato dal suo naturale contesto, diventa pura espressione poetica in uno spazio emozionale ideale

 

GIOVANNA SECCHI

“ Nei miei lavori il soggetto è sempre la mia vita, quella attraversata dagli eventi, dalle relazioni, dai sentimenti, dai lutti, dalle letture, dai viaggi. La vita come unicità e coscienza!” Giovanna Secchi ci  rivela il proprio mondo poetico, nel quale l’opera d’arte “rende manifesta la propria storia esistenziale”. Ama raccontarsi attraverso le molteplici strategie del proprio operare con il coraggio di chi sa mostrare, con singolare perizia, senza infingimenti e tanto meno compromessi, gli eventi della propria sapiente creatività come esperienze uniche e intime, sempre suscettibili di ulteriori evoluzioni. La sua ricerca, costantemente mirata alla sperimentazione, indaga la capacità di rinnovare la propria espressione, di attualizzarne i messaggi, di reinventarsi in nuovi contesti culturali. Ripercorrendo le tappe più significative del suo percorso, nei primi anni Sessanta sono sempre più forti le pulsioni per la contemporaneità e i suoi lavori, di chiara impronta gestaltica, sono immagini significative dal forte impatto emotivo. Indaga un nuovo rapporto tra segno e materia, in quella dimensione lirica che diventerà la poetica delle sue forme espressive. Le  raffinate composizioni rivelano un segno sensibile e raffinato, definito più tardi dal critico Marcello Venturoli “poesia spazialistica”. Sempre negli anni Sessanta fa parte del Gruppo A, seguendone la svolta culturale in cui prende piede la tendenza gestaltica. Il continuo confronto intellettuale in una contemporaneità che evidenzi il cambiamento, basato su competenze progettuali aperte all’utilizzo di medium di varia natura, come già auspicato da Mauro Manca, diventa terreno fertile per una nuova espressione: i metalli, la carta, le tempere, gli intagli si dispongono in un progetto mirato alla fusione razionale di più materiali, mentre successivamente, nel Gruppo della Rosa, l’evoluzione del linguaggio vira in una direzione concettuale. Il risultato è quello di una connotazione extra-artistica, con proposte di un design rigorosamente personale.  I temi e i modi affrontati non devono essere suscettibili di connotazioni codificate. Il singolare percorso del suo costante lavoro può essere inteso piuttosto come un viaggio metaforico, ricco di poesia: impreviste armonie, laceranti contrasti, nuove percezioni culturali del mondo attuale che spesso, come in tante sue grafiche e installazioni, diventano disincantate riflessioni ironiche sul destino dell’uomo, sul suo modo reattivo di opporsi a innumerevoli e inutili convenzioni. Contestualmente, prevale il gusto per la scoperta della materia, prevaricandone qualsiasi aspetto decorativo con piena autonomia espressiva: gli intagli che suggeriscono raffinati giochi di trasparenze e piani nascosti, come in un raffinato ricamo che prevale su soffusi toni cromatici, le calcografie con un segno morbido e vigoroso in grado di dominare lo spazio, l’incisione a sbalzo dei metalli, nei pannelli ricchi di connotazioni fantastiche e surreali.  

ANGELINO FIORI         

Nella sua produzione  artistica possiamo riscontrare oggi un’apparentecontraddizione: se da un lato emerge la sua costante ricerca di una nuova materialità del colore e del segno, d’altro canto è la stessa evidenza materica che si piega a un valore semantico per supportarne il significato simbolico. Il contenuto trova ampio riscontro nella coerenza del suo percorso e in particolar modo a partire dagli anni Sessanta, quando, nel contesto innovativo, creato con determinazione da Mauro Manca, Angelino Fiori scopre la possibilità di un’espressione opposta a ogni eccessiva volontà formativa, in netta opposizione agli schemi accademici pregressi. L’innovazione linguistica di un’espressione artistica, in cui progettazione e pura autonomia creativa si fondono per un nuovo risultato, lo spingono in una direzione che possa coniugare progetto, tecnica pittorica, destrutturazione del reale, con un pragma inconsueto e raffinato. Negli anni Settanta, fà parte del Gruppo della Rosa creato da Aldo Contini, con una chiara evidenza concettuale. Si tratta di un’esperienza particolarmente accattivante ma problematica, nella quale si intrecciano premesse squisitamente intellettuali  e  ideologiche, destinate a risolversi in mirate interpretazioni della realtà in senso speculativo, contro ogni tesi positivista. Successivamente, in direzione opposta, l’attenzione di Fiori sarà rivolta all’astrazione, con una spiccata propensione per una concreta e operativa ricerca artistica, incentrata sui rapporti tra progettualità e pittura. Concorrono a tale determinazione le stratificazioni di superfici colorate, spesso realizzate con fili e stoffe che si sovrappongono a strati di colore mediante l’acrilico o la serigrafia, in modo da giungere a una consistenza cartilaginea. Il colore diventa struttura fondendosi con il supporto della tela in un una preziosa sintesi materica, mentre la sapiente struttura cromatica introduce, con raffinata abilità, materiali che si trovano in natura: tessuti, fili, orditi di originale fattura, suggestioni legate a contestuali esperienze, come la realizzazione dei bozzetti per la tessitura dei tappeti sardi, supportata da una selettiva rivalutazione della tradizione in chiave contemporanea.La sua continua ricerca sperimentale ha definito nel tempo intrecci e sovrapposizioni, non solo formali ma anche extra-artistici. Parallelamente a un’evoluzione storico sociale che, nell’ultimo ventennio, ha comportato le notevoli discrepanze ideologiche tra l’Occidente e il mondo asiatico, il problema dell’immigrazione, sempre più pressante e irrisolto, è diventato terreno fertile per una nuova espressione. Fiori ne trae ispirazione per meditate evocazioni poetiche nei suoi libri  d’artista: sono le preghiere degli esuli, calligrammi simbolici stampati a secco su terse superfici alle quali si alternano, con sapiente equilibrio compositivo, fugaci effusioni cromatiche. Ancora una volta, l’interazione tra segno e colore diventa essenziale nella sua ricerca: la tecnica serigrafica determina l’equilibrio tra segno grafico e stesura cromatica, con le sue avvincenti qualità visive. 

MARCO IPPOLITO

Il suo percorso, dagli anni Ottanta ad oggi, non si è mai interrotto, con l’obiettivo di creare uno spazio artistico nel quale poter indagare la propria espressione tra razionalità e immaginazione, concretezza e astrazione. La sua produzione appare orientata inizialmente sulla tridimensionalità, nel privilegiare la produzione di lamiere sbalzate, oggetti in legno costruiti secondo i principi della geometria euclidea, traforati e rifiniti con tempere acriliche. La  ricerca sperimentale  lo avvicina ben presto all’espressione grafica: nella calcografia domina un segno pervasivo e sfuggente con accenni cromatici soffusi, basati sulla ricerca tonale, mentre nella xilografia il discorso è ben più complesso. Il segno compone strutture in un’evidenza ottico percettiva, nel diventare coefficiente gestuale di un principio dinamico che prende corpo nel suggerire vibrazioni e profondità mentre, nel clima degli opposti, tra bianchi e neri, genera forti contrasti di luce. Con esaustiva perizia risolve lo spazio con un segno frammentato, che definisce l’ossatura della composizione in una dimensione informale, con un linguaggio personalissimo, libero da qualsiasi implicazione ideologica, ma con un’evidente connotazione intellettuale. Nell’ambito di una puntuale riflessione su alcuni fenomeni della contemporaneità, la sua ricerca si concentra sull’evoluzione di una peculiare e personale concezione dello spazio come puro fatto artistico. Nel suo continuo sperimentare, Marco Ippolito continua ad avvertire l’esigenza del cambiamento per definire il proprio campo semantico nella bidimensionalità, che trova ispirazione nell’analisi tecnico-espressiva della xilografia di illustrazione, di scuola inglese, in cui l’abile gioco compositivo si basa su forme che geometricamente si incrociano. Poiché la scienza utilizza il linguaggio matematico per arrivare a un risultato, anche l’arte può utilizzare il medesimo linguaggio per una sintesi oggettiva, alla quale attribuire una valenza estetica dominante. Anche le scelte operative, come i processi di scomposizione, ricomposizione e incastro, l’uso di matrici xilografiche per comporre piani incrociati, del colore e del non colore, definiscono la sua poetica, esplicita o velata, ma sempre rigorosamente coerente. 

ROBERTO PUZZU.    

Una ricerca inesauribile e un nuovo linguaggio ci rivelano la sua espressione artistica. Chi volesse indagare la complessa creatività contemporanea, sulla base delle coordinate storiche attuali, potrebbe cogliere nella sua opera nuovi campi semantici  oltre a un’ardita proiezione verso il futuro. Roberto Puzzu è riuscito a trovare nell’incontro tra astrazione e figurazione un perfetto equilibrio, e la sua consumata esperienza costituisce un’autentica peculiarità del mondo artistico contemporaneo, per la notevole apertura e la costante azione propositiva. Nel suo percorso ha indagato una notevole varietà di campi espressivi. Giovanissimo, scopre il fascino della materia pittorica come terreno fertile per il proprio lavoro, rigoroso ma denso di vitalità nell’evidenza di nuovi valori formali. La sua evoluzione si è sviluppata contestualmente a un processo culturale che ne ha supportato i contenuti. Già dagli anni Settanta, l’ attività artistica e di docente si qualifica attraverso un ampio dibattito sulla funzione inclusiva dell’arte e della cultura all’interno della società, mentre il ruolo della conoscenza e le competenze intellettuali costituiscono la fase embrionale e determinante del suo lavoro. Oggi, la tecnica rigorosamente personale, l’uso sapiente delle tecniche tradizionali in chiave sperimentale, il coraggio di andare controccorrente costituiscono la chiave per una corretta e coerente lettura dei risultati. Nel forgiare la materia, Roberto Puzzu esplora la propria sostanziale autenticità. E’ l’oggetto artistico, come manufatto, a esplicitare con squisita raffinatezza la potenzialità e l’accurata selezione dei medium. Nell’ampia produzione, orienta la ricerca anche sull’arte applicata, come i gioielli e i tessuti: l’oggetto è il risultato di un’indagine materiale, esempio di tecniche complesse e, contestualmente, vive come esperienza artistica metafisica nella propria autonomia estetica. Alcuni aspetti della complessa fenomenologia della contemporaneità trovano riscontro nel suo concetto di arte in quanto determinazione ontologica progettuale: l’idea prende corpo nel fare artistico mediante il rapporto tra un progetto mentale e la materia. Il processo creativo, con nuove forme materiali, può andare oltre la sua stessa struttura che esprime differenti aperture ideologiche e culturali. Un aspetto peculiare della sua dialettica lo si ritrova anche nei processi digitali,  indagati sin dagli anni Ottanta. La scelta del mezzo digitale avviene sempre in virtù di un progetto che, nel manipolare la forma, è in grado di trasmettere il senso di una comunicazione tra l’artista e la società. Può diventare strumento culturale  da indagare esplorandone i rischi, le possibilità tecniche, valicandone i limiti nel modellare elementi plastici che, nella loro sintesi polimaterica, esprimono quasi un vivo compiacimento intellettuale. Con il mezzo multimediale è quindi possibile determinare l’autonomia e l’unicità dell’opera, liberandola dalle sue specificità mediatiche per un puro risultato artistico.        

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