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GLI EFFETTI AVVERSI PRODOTTI DAL RIALZO DEI TASSI

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     GLI EFFETTI AVVERSI PRODOTTI DAL RIALZO DEI TASSI

 

di Mario Travaglini

 

 Il rialzo sconsiderato dei tassi d’interesse da parte della FED e della BCE, l’ultimo dei quali è stato reso operativo giovedì scorso con un ulteriore aumento dello 0,25%, pone molti problemi, per gli Stati, per l’industria, oltre che per i consumi.

Gli studi ci dicono che l’uscita dalla spirale inflazionistica causata da uno squilibrio tra l’offerta di beni e servizi e la domanda solvibile può concretizzarsi solo in due modi. Il primo è la distruzione della domanda a causa della graduale insolvenza degli acquirenti, mentre il secondo riposerebbe su un aumento dell’offerta.

 La prima strada è oltremodo dolorosa ed è  quella che stiamo vivendo. Se i salari fossero rimasti stabili, la perdita del potere d’acquisto sarebbe avvenuta già da un pezzo; mentre, invece, con l’impennata dei salari nel 2022, che peraltro sta proseguendo anche nel 2023, la perdita di potere d’acquisto si trasferisce sui risparmiatori. Questa ripartizione degli sforzi conta poco a livello di quadro macroeconomico, indipendentemente dalla categoria più colpita, perché la spirale inflazionistica termina solo quando si sarà verificato un sufficiente e generalizzato calo del potere d’acquisto.

Il secondo esito, quello dell’aumento dell’offerta, sarebbe invece favorevole a cittadini e imprese. Se il tessuto economico riuscisse ad aumentare la propria produzione per soddisfare l’offerta, si innescherebbe un effetto virtuoso. Più produzione significa più occupazione, più ricchezza da consumare e stabilizzazione dei prezzi. Lavoratori, risparmiatori, pensionati, persone in cerca di lavoro: tutti vincono da uno scenario del genere. Ma questa soluzione ideale al problema dell’inflazione richiede di poter investire per poter fornire, a parità di altre condizioni, più beni e servizi. Ed è qui che cade l’asino, perché la politica monetaria seguita dalle banche centrali penalizza gli investimenti. In tal modo, i leader mondiali, che stanno cercando di combattere l’inflazione, la stanno alimentando.

Il denaro costoso, ossia quello che si compra a tassi alti, scoraggia gli investimenti. Infatti, se è vero che i “tassi zero” hanno avuto l’effetto perverso di moltiplicare le aziende zombie e incoraggiare gli investimenti più rischiosi, i tassi alti hanno l’effetto opposto. Remunerando il capitale privo di rischio ben oltre la redditività di molti validi progetti industriali, le banche centrali distruggono ogni incentivo all’innovazione. Perché costruire un altoforno o una linea di produzione il cui ritorno sull’investimento è del 3% annuo quando puoi fare degli investimenti in titoli di stato a 10 anni al 4%? In pratica, il rendimento minimo imposto dall’aumento dei tassi rende economicamente impraticabili tutti i progetti la cui redditività intrinseca è inferiore al costo del denaro. Senza contare l’effetto deleterio sui conti pubblici con l’indotto aumento del peso del debito, il denaro costoso grava sulla capacità di investimento delle imprese e delle famiglie che intendono finanziare l’economia reale. Secondo stime dei matematici attuariali, il solo aumento dei tassi di interesse sarà responsabile di una contrazione di un punto del PIL reale entro il prossimo anno. Si tratta di un vero e proprio declino della produzione di ricchezza, che sarà percepibile nel tenore di vita dei cittadini, anche se sarà mascherato dal finto aumento del PIL dovuto all’inflazione. C’è anche da aggiungere che se un’offerta insufficiente incontra una domanda incomprimibile l’aumento dei tassi si rivela essere del tutto controproducente. Infatti oggi non siamo nel 2008, e l’economia del 2023 non è in una fase di grande espansione nella quale regna uno sfrenato ottimismo da cui si dovrebbe uscire. Tutt’altro. Nei dieci anni precedenti la crisi dei subprime, il nostro PIL era cresciuto del 15,6%. Dal 1963 al 1973 era aumentato del  18% mentre l’incremento nel  decennio 1980/1990 era esploso del 50 %. Durante ognuno di questi periodi inflazionistici una parte della domanda marginale, non essendosi ancora consolidata, poteva, come tale, essere distrutta o spostata nel tempo senza creare troppi danni ai  protagonisti del ciclo economico. Tra il 2009 e il 2021 (anno pre-pandemia) la nostra crescita del PIL è stata… zero. Aziende e privati hanno stretto la cinghia e hanno ottimizzato il proprio budget per evitare ogni spesa inutile.  In tale contesto  essendo nulla la quantità di domanda da eliminare (perché incomprimibile) in modo indolore  il rialzo dei tassi non potrà avere l’effetto virtuoso che avrebbe potuto avere in passato. Anzi, continuare ad alzare i tassi di interesse equivarrà a “tassare gli investimenti”, rendendo impossibili i progetti meno redditizi,  anche se sarebbero stati economicamente utili. A tal proposito i gestori del nostro PNRR dovrebbero fare qualche riflessione e riconsiderare molti progetti che, ricordo, furono presentati quando di inflazione non si parlava ancora.     Nel tentativo di frenare l’effetto inflazionistico in corso, le autorità europee  stanno combinando un altro pasticcio: hanno ideato un meccanismo (MACF) per tassare l’importazione di alcune materie prodotte fuori dai nostri confini. Riguarderà i prodotti di cinque settori fondamentali: ferro e acciaio, quindi cemento, alluminio, fertilizzanti e generazione di energia. Applicato a queste materie prime, il MACF aumenterà i costi di approvvigionamento delle industrie manifatturiere. Produrre in Europa diventerà così più costoso  rispetto a ciò che viene fabbricato fuori dal Vecchio Continente, anche in settori dove abbiamo ancora un vantaggio competitivo come la robotica, la componentistica meccanica, il farmaceutico, il nucleare o la sanità. Un altro effetto avverso riguarderà  il calo della nostra produzione industriale; essa subirà le conseguenze della riduzione delle nostre esportazioni che perderanno inevitabilmente competitività a causa dei maggiori costi di approvvigionamento rispetto ai concorrenti. E’ sconfortante constatare come i nostri leader siano ancora  seguaci di formule magiche che pensano di poter riutilizzare in tutte le situazioni. Non si rendono conto che queste misure interventiste possono avere l’effetto opposto a quello previsto, e che l’economia degli anni 2023 non reagirà agli stimoli come quella degli anni ’70 perché non è soggetta agli stessi fattori limitanti. A loro non importa un fico secco di tassare i consumi, la produzione o di scoraggiare gli investimenti perché rimangono seguaci del metodo del salasso economico per curare tutti i nostri mali. Con i risultati che conosciamo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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